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tu chiamala se vuoi…politica

Da Fisiciaroundtheworld

Sarà capitato a molti neofiti della ricerca ascoltare l’espressione “la politica del nostro gruppo è…”. Poichè la politica dovrebbe essere l’arte di governare, o almeno l’ambizione a voler governare al meglio, questo incipit -almeno se non siamo stati già travolti dall’antipolitica – dovrebbe indurci al buonumore, al sollievo, al pensiero che chi ha un proprio gruppo di ricerca sente anche la responsabilità di avere una politica secondo cui gestirlo. Credo infatti che la politica con cui si gestisce un gruppo di ricerca interdisciplinare, ad esempio, debba essere necessariamente diversa da quella con cui si gestisce un gruppo con un background culturale comune. Sarà poi diversa la politica di un gruppo che afferisce ad un ente di ricerca, rispetto a quella di un gruppo appartenente all’università.

Sollevata dall’incipit, allertato il mio livello d’attenzione, procedo nell’ascolto…

- “La politica del nostro gruppo è di non mettere mai in una pubblicazione il nome di studenti di tesi”

- “La politica del nostro gruppo è di inserire sempre come ultimo nome nelle pubblicazioni l’ordinario”

- “La politica del nostro gruppo è di cercare di aggiungere collaboratori importanti ai nostri lavori, specialmente statunitensi, così da pubblicare molto più facilmente”

- “La politica del nostro gruppo è di inserire fra gli autori solo chi ha dato un contributo davvero rilevante, non chiunque abbia fatto qualcosa”

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Queste sentenze, ascoltate da diversi accademici (in varie posizioni), in tempi e situazioni differenti, mi inducono a pensare che la locuzione “La politica [...] è” serva più ad introdurre una decisione calata dall’alto, piuttosto che ad illustrare finalità, strategie ed eventualmente ideali con cui si governa un gruppo. Rimane comunque importante avere delle regole per individuare ordine e presenza di nomi in una pubblicazione internazionale, ma come si era già scritto qui queste regole dovrebbero essere per quanto più possibile comuni, almeno nello stesso settore scientifico.

Ammetto dunque che mentre l’incipit aveva sollecitato in me le migliori aspettative, le conclusioni mi hanno lasciato sempre un po’ basita, più che delusa. Non che attendessi “La politica del nostro gruppo è far andare avanti i più bravi” o “La politica del nostro gruppo è di scegliere chi voler portare avanti con noi solo dopo la conclusione del dottorato”, frasi forse retoriche o troppo impegnative, ma qualche idea chiara e precisa sulla politica di un gruppo di ricerca non sarebbe male averla. Si sa bene, ad esempio, che la politica di un’illustre scuola di dottorato in Italia, è di non dare la possibilità di fare il postdoc nella medesima struttura a chi lì ha già fatto il corso di dottorato. E’ una regola che favorisce l’esperienza in vari ambienti, e poichè é politica, e non scelta casuale, non viene vista in maniera negativa da chi, avendo vissuto un’esperienza di ricerca positiva in tale scuola, ambisce a rimanerci più stabilmente.

La politica, insomma, non è una parola che ci disgusta, ci allontana, ci spaventa. Rimane piuttosto -ancora oggi- il modo migliore di definire quel che di cui ci si dovrebbe dotare per gestire efficientemente un insieme di persone, accomunate da un certo background culturale e dagli stessi obiettivi. Una politica della ricerca sarebbe un’ipotesi da coltivare, in un momento in cui management, ottimizzazioni e razionalizzazioni sembrano termini riecheggianti un allarmante vuoto di contenuti.



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