Da quasi quindici anni i Muse, gruppo alternative rock britannico, regalano deliri di sonorità e spettacolarità, mescolando a uno stile eclettico, dall’elettronica alla sinfonia orchestrale, una smodata passione per performance grandiose. The 2nd Law è il loro sesto album, pubblicato il 1º ottobre 2012. Madness è il secondo singolo estratto: un’ipnotica ninna nanna con cui Matthew Bellamy ci culla discendendo in un gorgo di temperata psicosi.
I have finally seen the light
And I have finally realised
What you mean
And now, I need to know is this real love
Or is it just Madness,
Keeping us afloat
Intermittenze
Quando il mal di testa diventa insopportabile non c’è niente che l’aiuti a trovare un po’ di sollievo, niente che la faccia distrarre, perché ogni impercettibile spasmo dei suoi sensi è proteso verso il dolore pungente conficcato in mezzo alla fronte come una spina.
Soffre in silenzio, strizzando gli occhi e respirando nell’oscurità annidata sotto la coperta con cui si è oscurata il viso. Quando proprio non riesce più a trattenersi, lascia scendere una, due lacrime, così, per il piacere di maledire subito dopo la sua ruvida debolezza.
Stasera non saprebbe nemmeno rispondere alla domanda più semplice, stasera ha perso la percezione della realtà, non sa nemmeno più se sia giusto coprirsi quando fuori è estate; eppure nel dormiveglia ha sognato una strada che costeggiava i campi pieni di brina, e lei camminava lentamente sul marciapiede; era un sogno in bianco e nero, ma non del tutto, qualche colore c’era, c’era l’azzurro gelido del cielo e i colori vivaci della sua sciarpa. Lei camminava con qualcuno al suo fianco, ma i suoi contorni erano acquosi come nel riflesso di una pozzanghera.
Aveva riaperto gli occhi scossa da brividi invernali.
Sul tavolo accanto al divano giace ora una boccetta rovesciata. La vede sfocata mentre sbatte gli occhi appiccicosi ancora impiastricciati di eye-liner e mascara.
Da fuori provengono le risate degli zingarelli che giocano nelle enormi pozze d’acqua formate dalla pioggia nel terreno dissestato accanto al capolinea degli autobus. Se li immagina in mezzo agli schizzi, in un vortice di goccioline che restano sospese nell’aria prima di disperdersi nel nulla. Se si concentra riesce a contarle una a una, quelle gocce, bloccate per un’eterna frazione di secondo. Tira fuori un braccio dalla coperta e cerca di afferrarle tutte con una mano sola, ma poi il dolore si fa più pungente ed è costretta a premersi la mano asciutta sulla fronte impregnata di sudore.
Si sforza per tornare a ripercorrere la strada del sogno, vuole ad ogni costo scoprire chi si nasconde dietro a quei contorni sfuggenti. Riesce ad avvertire il freddo sul naso e nelle orecchie, ma il suo collo è come bloccato, non può girarsi per vedere…
Ora si ricorda a malapena perché è truccata in quel modo. Forse era uscita con alcuni amici, o forse conosceva solo una persona e molti altri li vedeva per la prima volta. Ogni tanto le sale dalla gola un sapore dolciastro che porta con sé anche un retrogusto amaro e nauseante; quanti erano, al tavolo, poche ore prima?
Vede tutti i suoi movimenti come in un nastro che scorre al contrario. Eccola camminare all’indietro verso la porta, malferma sulle gambe, poi accasciarsi nell’ascensore senza avere il coraggio di guardarsi allo specchio… Poi c’è un vuoto nero, si ritrova sola sul pullman che dovrebbe riportarla a casa. Sta scappando, ha il fiatone, le guance striate di nero.
Ecco dove aveva incontrato quegli zingarelli. L’avevano accolta non appena aveva rimesso piede sull’asfalto, trafficando nella borsa per prendere le chiavi. Le sorridevano, facevano un girotondo attorno a lei, risate e grida che le arrivavano come un grande rimbombo nelle orecchie.
Poi lo stradone deserto, l’odore della pioggia svanita. Ruote che con un agghiacciante stridore segnavano il terreno poco distanti, e il dolore che le perforava la fronte.
Ricorda di essersi trascinata fino all’altro lato della strada.
E poi aveva sentito qualcosa. Una leggera pressione sulla sua schiena, come una mano che la sospingeva verso un riparo. Il collo bloccato le impediva di voltarsi.
Sbarra gli occhi, in preda al panico. Come può aver impugnato le chiavi per aprire la porta di casa? Si sentiva così debole…
Forse sta impazzendo, forse le gocce le stanno causando qualche imprevedibile effetto collaterale…
Getta via la coperta, scalciando. Corre a piedi nudi verso il balcone, ha bisogno d’aria.
Vede i campi del suo sogno, il marciapiede che li costeggia. La fermata dell’autobus è deserta. Chiude gli occhi, respirando a pieni polmoni la frescura della sera estiva.
Quando li riapre, scorge stupita tanti piccoli puntini bianchi che scendono davanti a lei brillando come luci intermittenti.
Vorrebbe afferrarli, ma poi si blocca quando sente dei passi dietro di lei e di nuovo quella leggera pressione, stavolta sulla fronte, lì dove il male è più straziante.
Richiude gli occhi e sorride, mentre torna indietro allontanandosi dal delirio.