Magazine Diario personale
Eppure oggi inspiegabilmente tutti vogliono fare e sentirsi “comunicatori”. Un virus, letale per i risultati che produce, dato il bassissimo livello qualitativo raggiunto dalla comunicazione “nostrana” per altro molto criticato all’estero dove invece la comunicazione è tenuta nella giusta considerazione, al pari di altri “ingranaggi” indispensabili al buon funzionamento della società. Non basta più sentirsi tutti medici, tutti politici, economisti e, ovviamente! tutti allenatori di calcio. Sarà forse una moda, nel qual caso c’è da augurarsi che passi presto, ma resta il fatto che “faccio comunicazione” oggi è una frase che fa sentire chi la dice, una spanna più in alto degli altri, come se appartenesse ad un popolo eletto o alla “sezione aurea” della società. Frutto questo, di una profonda quanto comprovata insipienza e incompetenza in materia. E, peggio del peggio! si sentono tutti “comunicatori” solo perché in possesso di una laurea, pensando forse che un buon livello d’istruzione sia sufficiente per ottenere risultati. E invece non è così: la sola preparazione o anche quell’innata voglia o capacità di parlare o di scrivere non significa proprio nulla, è inutile a raggiungere gli obiettivi della comunicazione che partono dalla conoscenza della sociologia e psicologia della massa e del marketing per approdare alle tecniche di giornalismo e di comunicazione, per completarsi in quelle assunzioni di responsabilità che un manager della comunicazione, perché questo è un comunicatore, sa di dover considerare come priorità.
Ma tutta questa voglia di “far da sé” (ma che non fa per tre!!) nasce dalla sola volontà di risparmiare quel denaro che corrisponde all’onorario del professionista “idoneo”, in grado cioè per sua propria preparazione ed esperienza, di svolgere l’incarico. Chi però adotta questo modus operandi, non capisce che di fatto non risparmia; e poi si stupisce pure, se i risultati di una comunicazione così zoppa, sono “affannosi”, parziali, scostanti, non all’altezza delle aspettative, nel frattempo “montate” a dismisura. La comunicazione, “farla”, non è cosa per tutti, non è democraticamente alla portata di chiunque: è attività tecnica e “scientifica” molto più di quanto non si creda e soprattutto più di quanto non capiscano coloro che tentano di seguire altre ipotesi e altre strade che però si perdono nel deserto dei risultati-miraggi. E’ un’attività che non lascia spazio e non permette l’improvvisazione e tanto meno non la si impara in corsi estemporanei che forniscono una spolverata di concetti generici e generali, buttati lì per fare colpo sull’uditorio ma che non sono approfonditi nei modi, mezzi, forme, sostanza per metterli in atto, per fare questo lavoro. Che, intendiamoci, dà risultati, sempre, se lo si conosce e se si sa cosa attendersi, non la luna quando si può avere solo il pozzo, e non la station wagon se si hanno a disposizione solo due ruote e un sellino… Non è materia per sogni ma per una schietta e talora bruciante verità. Si è impiegato molto tempo a comprendere ad esempio che non ci si può inventare commercialisti per risparmiare. I rischi di andare incontro ad errori da pagare poi pesantemente sono troppi e tali da aver “insegnato” che in un campo complesso come quello fiscale, è meglio affidarsi ad esperti, e ovviamente pagarli. Ecco, con la comunicazione siamo ancora indietro anni luce da questo stesso concetto: non si è ancora compreso che con una comunicazione sbagliata e inadatta, il costo che si rischia e lo svantaggio cui si va incontro, non è monetizzabile in una multa o in un “prelievo” di denaro; o per lo meno, non è solo quello. Il rischio cui si va incontro sbagliando comunicazione, è semplicemente o propriamente quello di ROVINARSI LA REPUTAZIONE, l’unico bene che non deve MAI ESSERE INTACCATO per nessun motivo; si rischia di danneggiare non solo la propria immagine ma anche quella di un’intera categoria. Certo, il danno magari non è subitaneo o immediatamente palpabile o quantificabile, ma quando si è sbagliato “comunicazione” e pianificazione, il danno economico arriva, inesorabilmente; lo si matura magari nel tempo, che può essere anche lungo, e nei casi peggiori della storia della comunicazione, può essere persino permanente. Dunque, affidarsi al caso o ad altri “soggetti” che sono sì preparati ma in compiti diversi, proprio non lo si deve fare. Occorre sempre rivolgersi a professionisti della comunicazione, che nella fattispecie sono da ricercare nell’area dei giornalisti, professionalmente preparati ed esperti nella difficile arte della comunicazione su più livelli contemporaneamente, cercarli tra professionisti seri e di comprovata esperienza, non solo redazionale in senso stretto ma anche più propriamente “comunicazionale” per testare le loro capacità e verificare se sono utili ai fini previsti. Una volta individuato il professionista, il lavoro non è finito ma occorre fornirgli la più ampia disponibilità e condivisione delle informazioni, anche perché i giornalisti, trattandosi di iscritti ad un Albo Professionale, sono tenuti al segreto professionale, che se diventa uno strumento spigoloso nel lavoro giornalistico, torna invece ad essere un valido supporto e una garanzia al cliente, nel momento dell’attività comunicazionale. Tenere corsi di comunicazione in qualsiasi settore dovrebbe essere quindi di pertinenza di queste persone e non essere un vezzo per pensare di fare bella figura e colpire l’immaginazione del pubblico, o peggio ancora un mezzo per avventurarsi su strade ignote e pericolose, sperimentando. Può essere divertente la sperimentazione, addirittura può essere affascinante; ma la comunicazione non può essere paragonata al canto delle sirene, quella non è comunicazione, è “imbonimento” da piazzista. Ma una sorta di insensatezza sembra governare in modo crescente le scelte e le azioni degli esseri umani guidati sempre più spesso dalla propria personale vanità e pare che tutti siano capaci di fare tutto. Con le conseguenze ormai palesi, ad ogni livello della società. E la comunicazione, salvo pochi e dispersi casi, comincia a non esserne più esente.
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