Qualcuno sa dirmi che differenza passa tra l’espulsione di un calcolo e il parto?
Oggi sono incappata in un’interessante discussione sulla bellezza della naturalità del parto. Non ho intenzione di linkare la discussione, che ho trovato ai limiti dell’umano buonsenso, ma la riassumo in due punti:
- Le donne sanno partorire e i bambini nascere, riscopriamo il potere di dare la vita! (possibilmente riproducendo condizioni vicini all’età della pietra partorendo in casa invece che in ospedale, realizzando così il ritorno alle origini)
- Naturale è bello, naturale è doloroso, doloroso è bello! La maternità è il supremo sacrificio e il parto il rito di iniziazione (sia mai di ricorrere a una qualsiasi forma di analgesia! Il sacrificio di sé come rito di passaggio non poteva mancare)
Io di figli ne ho due e mi scappa sempre un po’ da ridere quando leggo queste convinzioni così granitiche, ma devo ammettere che questa nebbia mistica che avvolge il grande mistero della venuta al mondo ha avuto effetti persino sui miei pesantissimi piedi di piombo.
Premetto che vivendo in Olanda ci si affaccia al parto in modo diverso: la gravidanza non è medicalizzata e iI parto è decisamente autodeterminato. Innanzi tutto si è seguite da ostetriche di quartiere, si fanno pochi esami, poche ecografie; e il parto può avvenire sia a casa sia in ospedale, in entrambi i casi seguite dalle ostetriche che hanno seguito la gravidanza, in ospedale si partorisce in una struttura separata o comunque in un’ala dedicata, in stanze normali dove ci si può muovere liberamente, scegliersi una compagnia gradita e insomma comportarsi in modo da sentirsi a proprio agio. A parto avvenuto, se tutto è andato bene, si va a casa in un paio d’ore, seguite poi da un’infermiera a domicilio per qualche giorno. Sono disponibili epidurale e analgesici, i cesarei e in ogni caso le manovre invasive sono nell’intervallo di normalità indicato dall’OMS, il piano del parto (il documento nel quale la madre esprime i suoi desideri e che il personale medico deve tenere in conto) è una realtà.
Diciamo che nell’ambiente delle partorienti l’Olanda è nota come la valle incantata del parto naturale.
Ma io sono italiana, vengo da una famiglia italiana, la famiglia di mio marito è italiana, al momento di mettere al mondo il mio primogenito vivevo qui relativamente da poco e il peso della mia italianità lo sentivo ancora parecchio (e lo sento ancora, eh? ne sono solo più consapevole e non lo considero un fatto negativo).
Sicché, incinta al settimo mese, sono cominciate una serie di discussioni sul parto con mia madre, mia nonna, le amiche.
Discussioni spesso anche utili e di conforto, ma che hanno avuto due effetti: il primo è stato quello di farmi incaponire tantissimo sull’idea che il parto fosse un momento di passaggio che si doveva suggellare per forza con sangue e dolore, altrimenti non sarebbe stato un parto. Il secondo è stato quello di convincermi che ovviamente ne sarei stata capace, come ne erano state capaci mia madre e mia nonna.
Nella mia testa si è fatta strada l’idea che dovevo dimostrare di essere capace di partorire e quindi di essere madre. Insomma, un esame di abilitazione.
Oggi sorrido a pensarci, ma che pesantezza questi pensieri!!!
E alla fine il giorno è arrivato e…
e il parto è andato male: la gravidanza fisiologica, perfettamente normale e senza problemi che ho avuto si è conclusa con un parto disastroso ed estremamente traumatico, con un cesareo eseguito con me ancora vestita come sono arrivata da casa e il battito cardiaco del mio bambino sparito improvvisamente tra una contrazione e l’altra.
Alla faccia del detto “i bambini sanno nascere e le donne sanno partorire” mio figlio non ha potuto nascere naturalmente e io non ho potuto attraversare il dolore che giudicavo fondamentale per ricevere il mio patentino.
Il mio bambino mi ha medicata in parte di questa esperienza, ma ci è voluta una seconda gravidanza e un secondo parto per riconciliarmi con l’idea di maternità che si era creata nella mia testa.
E anche così non è stato un processo a costo zero: ho tentato in tutti i modi di partorire naturalmente la mia seconda figlia, che si presentava podalica. L’abbiamo girata nella pancia, rispolverando la famigerata manovra di rivolgimento che in Italia non si fa quasi più, il mio ginecologo e le ostetriche che mi seguivano hanno avuto grande comprensione del mio desiderio e dei motivi che mi spingevano e mi hanno aiutata fino all’ultimo, quando le condizioni di mia figlia sono diventate critiche e un nuovo cesareo si è profilato all’orizzonte.
E quando finalmente ho capito, l’esperienza della maternità si è compiuta anche per me.
Ho capito che quello che ti fa genitore non ha nulla a che vedere con il modo in cui i figli vengono al mondo; ho capito che il dolore non solo non è bello, e certo non è necessario; ho capito che il condizionamento sociale che ho subito ha radici profonde che sono tanto difficili da recidere perché sono difficili da riconoscere. Il condizionamento nasce dall’idea che le donne debbano sempre e comunque dimostrare qualcosa, sacrificarsi e patire altrimenti non hanno valore: il valore delle donne è definito dalla loro capacità di soffrire e sopportare.
Qual è l’unica risposta alla mia domanda d’apertura “qualcuno sa dirmi la differenza tra l’espulsione di un calcolo e il parto?”
La risposta è…
il bambino!
E visto che nessuno si aspetta che una persona si dedichi all’espulsione di un calcolo nell’intimità della propria casa considerando la cosa persino d’aiuto e conforto, che nessuno si aspetta che una persona passi per l’espulsione di un calcolo senza analgesia e che nessuno di aspetta che espellere un calcolo sia un sacrificio colmo di gioia, allora eccoci qui: si può partorire naturalmente o meno, dolorosamente o meno, sacrificandosi o meno, senza dover regolare anche questo frangente della vita di una donna.
Ed eccomi qui, con una consapevolezza in più, come persona e come femminista: io sono io, le mie emozioni e i miei vissuti sono miei; la maternità è stata ed è un’esperienza formidabile, ma a modo mio, fuori dagli stereotipi e dalle aspettative sociali. La maternità per me è stata una scelta; le gravidanze sono state un vissuto privato; la nascita dei miei figli non ha niente a che vedere con le frasi dei cioccolatini in tinte rosa pastello e nemmeno con i toni cupi della sofferenza e del dolore che sembrano dover accompagnare questa esperienza. E condivido volentieri questo mio pensiero, lasciandomi alle spalle le uscite infelici che vorrebbero definirmi.