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Tu e io, amiche

Da Andrea Venturotti

TU E IO, AMICHE


Al parco il tempo scorre veloce e imperturbabile. È una giornata afosa, come tante nell’ultimo periodo. Il sole batte forte sull’erba quasi bruciata e filtra attraverso le fronde di quegli alberi sui quali mi arrampicavo da bambina. Sono riuscita ad appostarmi sull’ultima panchina all’ombra rimasta libera. Accanto a me, Kira se ne sta seduta, con la lingua di fuori, a respirare l’aria carica di umidità. La passeggiata al parco, nel tardo pomeriggio, è il nostro rituale quotidiano. Oggi, come sempre, abbiamo girato tutto il parco: lei correndo avanti, fermandosi ogni tanto per vedere dove sono io e tornando indietro quando capisce di essersi allontanata troppo; io camminando tranquilla, godendomi quel poco di natura che la civiltà ci ha lasciato a disposizione. Dopo aver corso e passeggiato per un po’, ci siamo fermate a riposare all’ombra di una pianta, entrambe sedute su una panchina rovinata da qualche vandalo, circondata da un odore penetrante di legno e erba appena tagliata. Ho perso la concezione del tempo. Non so da quanto siamo qui a guardarci attorno. Kira osserva tutto, curiosa: le persone, gli altri cani, i palloni che rotolano da tutti i lati, le biciclette che sfrecciano. Accenna un piccolo ringhio di paura quando qualche ragazzino si avvicina impulsivamente. Nel frattempo la sua coda si agita, festosa.

Cerco di concentrarmi nella lettura, ma il parco è saturo di rumori: le urla dei bambini si fondono con quelle degli anziani che giocano a carte; cani che corrono e abbaiano e cicale tra i rami degli alberi a segnalare quanto ancora sia alta la temperatura, nonostante sia ormai sera. Il fiume alle mie spalle è invece quasi silenzioso. È da molto che non piove e ciò che scorre in quel letto di sassi e terra e solo poco più che un rigagnolo, ora. Mi accorgo della reale intensità dei suoni solo osservando Kira, le sue orecchie che si muovono su e giù, a volte quasi impercettibilmente, il suo sguardo che si sposta frenetico, la sua attenzione catturata prima dal pianto di un bambino, poi dal tintinnio dei sassi sul sentiero ghiaioso.

Tengo aperto il libro tra le mani, davanti a me, ma ciò a cui mi dedico davvero è la stessa attività di Kira. Nascondo gli occhi dietro un paio di occhiali da sole, fingo di leggere e intanto mi guardo attorno, osservo le persone che passeggiano, corrono, chiacchierano, senza curarsi di ciò che accade attorno a loro. Mi concentro su una coppia di anziani che mi ispira tenerezza. Lei, vestita di un lungo abito scuro a fiorellini, passeggia con un cappellino in testa e un bastone a sorreggerla. Lui si isola ascoltando un programma radiofonico da una vecchia radiolina a batterie, ma nei suoi gesti vedo un’infinità di affetto e premura nei confronti della donna che, immagino, è stata la compagna di una vita. Le cammina accanto, ogni tanto la guarda, come per assicurarsi che i suoi passi siano decisi, ben fermi, soprattutto dove il terreno si fa più instabile. Porta, appesa nell’incavo del gomito, la borsetta della moglie. Vedo spesso questa coppia. Mia madre, scherzando, dice che anche lei e mio padre diventeranno così, quando invecchieranno. Continueranno davvero ad esserci i gesti di affetto, le piccole azioni dense di attenzioni e gentilezza? Mi volto verso Kira e giro a lei il quesito:

“Che dici? Saranno così anche loro? Quando passeggeranno, soli, in questo parco ci sarà qualcuno a osservarli, a sentirsi pervadere di dolcezza, a chiedersi cosa abbiano passato nella loro vita insieme, nel loro matrimonio, che abbia alimentato il loro amore invece di spegnerlo? Oppure diventeranno, man mano, come quelle coppie stanche del vivere quotidiano, della monotonia di un matrimonio che va avanti solo per inerzia?”.

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Kira mi guarda negli occhi, mentre le parlo. Sembra ascoltarmi, percepire le mie parole e i miei pensieri più di quanto io credo che sia in grado di fare. Mi risponde a modo suo, nel momento in cui mi metto a tacere: scodinzola, mi mette una zampa sulla gamba e punta lo sguardo lontano, verso l’orizzonte, dove il sole sta tramontando. Mi rendo conto solo così che il parco è vuoto, tutti sono tornati alle loro case. Anche i due anziani che fissavo non ci sono più. Ancora prima di alzarmi, Kira capisce che è ora di andare. Scende dalla panchina, si stiracchia e comincia a correre. Si ferma poco prima dell’uscita del parco e abbaia nella mia direzione. La raggiungo, le rimetto il guinzaglio e torniamo a casa, assieme, con i suoi denti attaccati ai miei jeans, all’altezza del ginocchio, come a dire:

“Io non ti lascio. Saremo ogni giorno più unite. Padrona e cane. Tu e io. Amiche”.

Chiara


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