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I fiorai si lamentano, dicono che non si usano piú i mazzi di rose. Seccano il sabato, il giorno delle coppie. Che bastano le notifiche su Facebook, il pacchetto di sigarette offerto alla fermata del bus, accompagnarvi per il centro appiccicando il naso alle vetrine, sporcare le lenzuola, stappare qualcosa insieme. Niente di piú vero. Guardaci come siamo uguali, sintetici, non cresciamo di piú, non brilliamo un attimo di luce senza fondo negli occhi. Pensiamo di restare a galla, di mantenere cose che non ci siamo dati veramente noi, concessioni a tempo della vita. Mi chiamo Carlo, ho 23 anni e son di Milano. Spaccio al Sempione, ballo all´Alcatraz, spendo tutto, spengo tutto, amo niente perché é quello a cui credo.
Vita vuota, vita piena, bottoni per accendersi, sudore del lavoro, sudore della paura di essere beccati, i contenti chiudono un occhio gli scontenti si rovinano, Milano si fa, le ragazze affittano il corpo come se fosse l´ultima notte del mondo, i coktail davanti al neon tolgono il peso e i divani macchiati. Vogliamo tutti stare meglio, e siccome nessuno ci capisce perdiamo la speranza come sassi di pollicino che nessuno si stanca a raccogliere. Vogliamo tutti dimenticare su una canzone, su un corpo, su un brandello di sera anche se un grammo costa quasi quanto lo stipendio di due giorni col capo che fa stalking. Distributore di felicitá provvisoria, mi piace pensarla cosí. Ti alzo la serata, ti alzo la voglia, ti alzo la concezione che hai di te stesso per prepararti a morire di cose belle, inutile, cattive.
Il Po è pieno di piscio di rispettabili fatti di coca, di gente che si sente Dio, in affitto, di gente che non riuscirebbe ad amare comunque e che nessuno ricorderà per qualche motivo ben preciso. Dobbiamo chiudere con questa realtà, è troppo dura per 7 giorni su 7, e ti dirò la sua cattiveria ci rende cattivi, animali. E nessuno ci ascolta. Che senso ha piangere allora? Urlare? Distruggersi? Dobbiamo solo traboccare e finire sul tavolo, spargerci a dismisura, dove arriviamo arriviamo, senza speranze e attenzioni.
Mi salva la mia storia spigolosa che ripercorro ogni sera, che lei c´é l abbia fatta, ora sia a Parigi all´Accademia coi miei soldi e quelli della caffetteria del fine settimana. Spigolosa perché non ho mai voluto bene a mia sorella finché non l´ho persa, era parte della famiglia ma era sempre di fretta, sempre silenziosa, sempre diversa da me. Sempre quella che sapeva dove mettere i piedi per non scivolare. Non so come vedesse me, forse non me l´ha mai detto per non ferirmi. Ma forse lei aspetta solo che cambi. Come io, il mondo. Non importa cosa é vero, importa cosa sembra se riesce a sembrarti per sempre. Impacchettati nelle nostre scatole cinesi ci inventiamo lo stile che é degli altri, compriamo le stesse cose tra una scelta enorme, sosteniamo cause perse per il senso del dovere, diciamo “poi” con la piú faccia di bronzo che possiamo, che ormai i programmi son stretti e ci devono stare le cose che possiamo raccontare con orgoglio e possono diventare popolari sui social. Abbiamo sempre qualcosa da salvare, o da farci salvare. Caterina mi ha accarezzato la barba prima di non dire niente e partire per il suo sogno. Non vediamo nulla dietro l´angolo, ma scegliamo, lei ha scelto, con il coraggio di tirare fuori quello che siamo senza adattarci a fare quelli che vorremmo.
Io scappo senza cambiarmi. Milano da intossicare. Da sdraiarsi dietro ai cartelloni e recuperare la verdura invenduta dal mercato di S. Lorenzo. Milano da perdersi anche se la conosci, in assenza di vento impazzire, e dedicare uno dei tuoi sogni a caso al marocchino che porta la spesa al quarto piano e non pagherà mai il canone. Siamo di un passaggio che lascia tracce diverse ma non indelebili e se spariamo non ci cerca nessuno per troppo tempo. É tutto diverso da come lo raccontano, e quasi non lo raccontano più, per come li guardiamo. É tutto diverso da quello che aspettavamo crescendo, che speravamo diventando. La città mangia traiettorie, corrode solitudini ed é specchio di pensieri coraggiosi. Cambiare. Provare in quella ditta di traslochi, o aiutare il kebabbaro ai servire ai tavoli, cercare quell´ex compagna dagli occhiali neri che sapeva sempre rispondere alle sue domande. Cambiare numero di telefono. Chiedere a Caterina come sta. Cose così. Guardarla in faccia e dirle “tu mi sei la realtà”, scusa se non ti ho guardato. E recuperare. All´infinito.