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Mamma mia che infanzia difficile deve avere avuto Michele Mari. Soprattutto se da bambino era snob esattamente come la sua scrittura lascia presumere lo sia ora.
Un stile altezzoso, aulico, al punto che da rendere difficile a volte la comprensione di certi termini usati (per fortuna hanno inventato il contesto).
In questi 11 racconti che compongo questo libro, Mari ci racconta una parte della sua infanzia, tramite dei flash di ricordi del passato e di come li vede ora.
Tre sono stati i miei racconti preferiti.
Il primo, "I Giornalini", non tanto per la narrazione in sé quanto perché mi sono ritrovata subito a chiedermi "ma io darò i miei Peanuts ai miei figli?", perché ho capito e condiviso il suo legame per quei giornaletti che leggeva da bambino, i fumetti con cui è cresciuto e che ancora riescono a catturarlo quando per caso li apre. Ho capito la sua voglia di nasconderli e in qualche modo di proteggerli.
Anche se sono abbastanza sicura che darò i miei fumetti ai miei bambini (non potrei immaginare che crescessero senza amare Snoopy, Lucy, Linus e Charlie Brown).
Il secondo, "La Freccia Nera", mi è piaciuto per deformazione professionale, perché parla in modo indiretto di traduzione e di come uno stesso libro possa cambiare in base a quando e da chi è stato tradotto. Al punto che a volte sembra di leggere un romanzo diverso, di cui si riconosce la trama ma non il modo in cui è narrata. Un bel modo per rendere il concetto base della traduzione di differenze che non sono necessariamente errori.
L'ultimo che mi ha colpito un sacco è poi quello conclusivo, "Laggiù", che è riuscito con un semplice botta e risposta tra due persone a commuovermi. Ricordi insignificanti del passato che riaffiorano e ci riportano indietro alla vita che ora non viviamo più. Piccoli anedotti che di solito non si ricordano e che vengono a galla all'improvviso.
Ci sono poi gli altri racconti, alcuni in cui ci si può in qualche modo riconoscere (pur essendo io molto più giovane dell'autore): il secondo, "L'uomo che uccise Liberty Valance", che parla di giocattoli che un giorno per noi sono fondamentali e il giorno dopo non sappiamo nemmeno più che esistono. "L'orrore dei giardinetti", che parla di bambini al parco, delle dinamiche dei rapporti tra loro, quasi obbligati ad andare d'accordo dalle madri che li portano lì a socializzare (anche se io non avevo di certo tutte le fobie che aveva mari bambino). O ancora "Le copertine di Urania", un racconto dedicato a questa serie di fantascienza, che io non ho mai letto ma di cui ho parecchie copie giù, essendo mio padre della stessa generazione dell'autore (e poi cavolo! All'interno degli Urania c'erano le striscie di B.C. e de Il Mago Wiz, che io leggo ancora adesso!)
E poi c'è "Otto Scrittori", sulla difficoltà di scegliere il nostro autore preferito quando si è piccoli, con mostri sacri che competono tra loro e che è difficile abbandonare.
In linea di massima quindi direi che questa raccolta mi è paciuta. Certo, lo stile troppo aristocratico (e altezzoso!) a volte a mio avviso penalizza i racconti, e soprattutto ti portano davvero a pensare che Mari fosse un bambino un po' chiuso in sè stesso, che non si trovasse bene nella sua condizione di "bambino" e volesse a tutti i costi crescere in fretta.Però sono belli i ricordi che ha, è bello il modo in cui mostra il suo affetto per questo passato che forse ora da adulto riesce ad apprezzare meglio.
Non è una lettura per niente facile, ma merita.
Per acquistare: Tu, sanguinosa infanzia (L'Arcipelago Einaudi)
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