Da quando lavoro nella moda è tutto un press day, una presentazione, una pre-collezione, una preview, in sostanza un “vieni qua che ti mostro la mercanzia che per un po’ non lavoro io e non lavori neanche tu”. In linea generale sarebbe anche una bella idea, quella che in pubblico chiamo con le vocali chiuse e l’aria compita davanti alle PR “un’ottima occasione per dare un volto a una voce”, ma che in realtà sappiamo tutti perfettamente essere un’occasione per cazzeggiare, scroccare e chiacchierare del più e del meno.
Purtroppo, però, quella che sulla carta potrebbe essere una piacevole presentazione che dura 5 minuti, seguita a raffica da pettegolezzi, finger food e soprattutto cartelle stampa accompagnate da gift (0 meglio, per ordine di importanza, gift accompagnati da cartelle stampa), troppo spesso si trasforma in un evento al quale continuo a preferire la sagra della lumachina, del gorgonzola e, soprattutto, del pisello (che, giuro, esiste davvero e ovviamente è la mia preferita).
Un vero peccato, soprattutto considerati i budget che spesso hanno a disposizione gli organizzatori di eventi: io, al loro posto, con tutti quei soldi in mano trasformerei i press day in eventi dell’anno (agenzie, mi leggete?). Se siete dei PR, dei marketingmenagger, o delle agenzie, cercate di seguire delle linee guida base che vi permetteranno di dare vita a un evento quantomeno migliore del rinfresco per la comunione di vostro nipote.
1 – L’invito. Una breve, ma doverosa premessa. Once is enough, two is too much. Il recall compulsivo è un’arma a doppio taglio. Sicuramente non mi dimenticherò dell’evento, ma se mi chiamerete un giorno sì e l’altro pure ne sarò anche nauseata. Non mi risulta che facciate lo stesso con i vostri amici, dunque, un solo invito è sufficiente.
2- La location. Se in showroom non c’è spazio e fate un evento in culo ai lupi (e per “in culo ai lupi” intendo anche solo un metro fuori dalla circonvallazione, che è un po’ come dire la morte urbana) almeno premuratevi che le indicazioni su dove andare siano chiare. Non esiste che mi fate arrivare in un ex fabbrica a due passi da dove Mary correva nel buio della ferrovia e non mettete almeno un foglio con una freccia. È una poverata, certo, ma non è difficile: lo potete fare anche a mano.
3- L’accoglienza. Una volta che l’ospite entra nella sala non va lasciato girovagare come se non fosse stato mai invitato. Va accolto, accreditato (ehi, ma così potreste farvi anche un database da paura, ci avevate mai pensato?), accompagnato in sala. In quel momento la stanza dove siete è come se fosse l’ingresso della casa e l’ospite che vi si presenta conta più della vostra migliore amica. Dopo tutto non mi risulta che la vostra best vi possa offrire recensioni positive o negative della vostra collezione.
4- Il visual. Visto che sempre più spesso la risposta alla domanda “Che lavoro fai?” è “Il visual”, se il vostro gusto non è sufficiente e il colpo d’occhio proprio non v’appartiene, fate in modo di assoldarne uno. Chiamasi “presentazione” qualcosa che, appunto, va presentato. E bene. No robe ammucchiate, no confusione che in confronto da Zara si respira l’ordine. Nessuno ha voglia di andare alla ricerca delle vostre novità come fossero l’ultimo numero di Jeffrey Campbell rimaste in negozio.
5- La collezione. Il lavoro è una prosecuzione della scuola. Quindi, se a scuola dovevate (o avreste dovuto) arrivarci preparati, ciò vale a maggior ragione per il vostro lavoro. Se non avete nulla da aggiungere sulla collezione e vi limitate a descriverla come fossi cieca (la linea dai toni ècru, il porta iPad, il tacco vertiginoso, l’interno in seta, ecc) la prossima volta spendete pure il budget in pubblicità e inviate un bel look book che vi dispensi dall’essere rimandati. Qui non ci sono esami di riparazione (invio di un regalino escluso).
6- Il rinfresco. Passiamo al punto fondamentale: il cibo. Ora, io dico, siamo tutti d’accordo che non è obbligatorio? Perfetto: allora, come tutto ciò che è necessario ma non indispensabile, se scegliete che invece lo è, allora fate in modo che, se non indimenticabile, quantomeno non disgusti. Niente bibite in bottiglia (non siamo al cinquesimo di vostro figlio), vietati patatine o pop corn (vedi sopra), no a robe troppo impegnative da prendere o mordere perchè inibiscono chi di certo non ha partecipato per fare figure di merda. Basta un catering di livello, che di certo la vostra maison si può permettere, porzioni limitate belle da vedere e facili da smaltire che qui si vuole tutto fuorchè ingrassare. E l’alcool, ça va sans dire.
7- Gli invitati. Capisco tutte le ragioni per cui fare una festa dove non si presenta nessuno sia alquanto triste. Ma anche invitare cagne e porche cani e porci non migliora la situazione. In particolare, potrebbe disturbare un’alta percentuale di esponenti della cricca del “magna e arraffa”. Per i non addetti al settore, si tratta di tutta quella serie di imbucati tra i quali spiccano le giornaliste ultra centenarie che ancora ricevono gli inviti, che non pubblicherrano mai nulla, e che nondimeno si palesano all’evidente ricerca di qualcosa da scroccare. Vederle permanere giusto il tempo di mangiare il mangiabile, bere il bevibile e portarsi a casa il portabile è uno spettacolo che non augurerei di vedere mai a nessuno. Ricordatevi che i vostri ospiti vi descrivono meglio della vostra casa.
8- L’abbigliamento. Il vostro press day è sicuramente una delle poche occasioni che tutti noi abbiamo per scollare il sedere dalla sedia e portarlo a fare due passi. Eppure, ciò non significa che potrete presenziarlo vestite come io andavo a ballare al sabato pomeriggio al Privilege. Non è una cerimonia, non è notte, non siamo (purtroppo) delle Olgettine. Sobrietà, ragazzi, sobrietà.
9- L’omaggio. Qui vale lo stesso discorso del cibo. Paracularsi gli invitati è cosa buona e giusta, ma allegare alla cartella stampa un oggetto che non includereste nemmeno nella pesca trash di Natale con i vostri prozii potrebbe rivelarsi un boomerang al di fuori del vostro controllo. Non potete mostrare capi a vosto dire meravigliosi e poi allegarne uno che nemmeno alla fiera di Sinigaglia. Se siete specializzati in pelletteria ciò non vi dà il via libera a includere il portachiavi che usava mio nonno per le chiavi della bicicletta. Se fate scarpe nessuno vi dà il permesso di regalare arbre magique a forma di stiletto (giuro che non sto inventando). Un po’ di classe non si nega a nessuno, suvvia.
10- La cartella stampa. Non serve disboscare l’intero parco Sempione per descrivere, con font 16, ogni dettaglio della collezione. E soprattutto, non serve farmi tornare gobba in ufficio. Anche perchè, quando poi il giorno dopo inviate un comunicato su quanto è green la vostra azienda, potete immaginare come mai finisca nel cestino senza nemmeno passare dal via.
Adesso siete pronti per organizzare il prossimo press-day con uno spirito diverso. Ah, invitatemi, ma una sola volta!
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