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La rete internet, i vari store che vendono applicazioni per tablet e smartphone o Ds, PlayStation e quant'altro, nonché -ahìnoi- molti diffusi programmi educativi e, apparentemente, riabilitativi, da qualche anno sembrano focalizzarsi (leggi: "vendere") su alcune approssimative e riduttive idee sul cervello e sulla sua possibilità di essere trattato non solo come un organo a se stante, ma anche, a sua volta, parcellizzato secondo necessita. usi, etc.
L'idea, conforme a un certo obsoleto riduzionismo organicista, suscita grande interesse e, nonostante gli appelli della comunità neuroscientifica su come queste informazioni siano più riferibili alla mitologia che non alla ricerca, proliferano corsi, applicazioni, pubblicazioni intrise di vere e proprie mitoneurologie.
D'altra parte l'uomo da sempre è affascinato da ogni determinismo in grado, anche solo per un attimo, di regalargli un surplus di coscienza identitaria in cui sia sottesa la promessa di un qualsivoglia miglioramento (funzionano, per altro, così tutte le diagnosi, sul cui senso ho espresso in più articoli le mie profonde perplessità -vedi qui).
E, allora, ecco il mito (per altro in voga da tempo) che gli umani usino solo il 10% del proprio potenziale cerebrale, così da fare immaginare che ci sia un 90% di misterioso potere nascosto; oppure il fatto che esista un pensiero riferibile all'emisfero destro (che è più abilitato nei creativi) e uno riferibile all'emisfero sinistro (che, invece, è prorompente nei soggetti più razionali), affinché cerebrodestri e cerebrosinistri possano sperare (prima di divenire cerebrolesi) di conquistare anche l'altra metà dell'emisfero e raggiungere chissà quali traguardi.
Ci sono poi gli stili di apprendimento (ne sono stati contati ad oggi circa 170) che intortano, allo stesso modo (ancora una volta l'identità), l'idea di poter individuare i modi in cui una persona acquisisce le informazioni dall'ambiente attorno a sé e rilanciano, conseguentemente, la possibilità non solo di migliorare il proprio stile, ma di espandersi acquisendo nuovi stili.
Tutti questi e altri neuromiti non hanno, in verità, alcuna base scientifica e, soprattutto, ogni promessa di speciali applicazioni, esercizi, didattiche che vanno in questa direzione, ha la stessa efficacia di certe pomate per fare allungare il pene o ingrossare il seno.
Infatti, ogni essere umano usa (anche se non sempre sembrerebbe) la maggior parte del proprio cervello, non solo il 10%. Ugualmente, i nostri emisferi cerebrali sono densamente interconnessi, ed è proprio questa interconnessione che ci ha permesso di divenire dei primati evoluti creando il mondo complesso in cui siamo immersi. Insomma, ogni pensiero comporta un'intensa interconnettività coordinata da entrambi i lati del cervello e tale interconnettività, inoltre, comprende tutti i sensi, soprattutto la vista e l'udito; per cui il concetto di "stili di apprendimento" non restituisce affatto come il nostro cervello apprende.
Insomma, diversi studi e ricerche, hanno ampiamente dimostrato come applicare una qualsiasi di queste idee non ha dato nessun beneficio o efficacia formativa.
Ciò detto, come spesso accade per le cose partorite dalla mente umana (e dal corpo del maiale) nulla è da buttare. Possibilità di usare al meglio il nostro cervello, efficacia del pensiero logico e del pensiero creativo, attenzione alle modalità con cui apprendere ci viene più facile, etc. sono tutti elementi che possiamo e dobbiamo prendere in considerazione, ma forse ad un livello differente da come il pensiero magico-popolare li ha trasmessi fino ad oggi.
Vedremo nei prossimi post come, fuor d'ogni mitologia, è possibile organizzare e lavorare sul proprie modalità di apprendimento affinché si possa rendere al meglio.
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Massimo Silvano Galli
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