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Sono distratta. Sono tre giorni che devo cominciare una commessa, al lavoro, e invece guardo nel vuoto e mi perdo in fantasticherie. Otto ore al giorno di immaginazione. Al limite del patologico, direi. È una cosa, questa della mente che vaga, che ho sempre avuto: ricordo che da bambina non riuscivo a spiegarmi perché per la gente andare in galera fosse una prospettiva così terribile — a me il tempo sarebbe volato, a guardare il soffitto e a farmi film nella testa. Solo in seguito ho capito che non tutti hanno la mente come la mia. Non tutti si immaginano storie guardando il soffitto. E, incidentalmente, ho anche capito che stare in prigione non è esattamente stare distesi a leggere e sognare.
Comunque, dicevo, sono distratta. Molto più del solito e di certo più che negli ultimi deserti sette mesi. Sette mesi di mente vuota. E la domanda che mi ponevo è: come fa la gente normale? Con la testa dove ci sono solo cespugli rotolanti sulla sabbia arida e desolata? Io trovo così deprimente non avere personcine che ti parlano nella testa.
Era un po', troppo, che la mia mente aveva la sola compagnia dei tumbleweeds. Da qui il mio blocco di scrittura, by the way, che però dipende anche da altri motivi. Motivi per cui le personcine che ora mi parlano non diventeranno un libro. Non ora, forse mai, non importa. Sono felice lo stesso che mi parlino, ma la domanda resta: chi la chiude la fottuta commessa aperta da tre giorni?
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