Turchia, ancora disordini e scontri. È una primavera turca?

Creato il 02 giugno 2013 da Retrò Online Magazine @retr_online

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Dopo gli scontri violenti di ieri, a piazza Taksim, in Turchia e il ritiro delle truppe che ha permesso ad un gruppo di manifestanti di “conquistare” parco Gezi.
Amnesty parla di almeno due morti negli scontri a Istanbul, e almeno mille feriti. Il bilancio stilato dal governo, invece, annovera tra i feriti solo una settantina di persone e non recita mai la parola “morte”.

Alcuni giornali iniziano a parlare piano di “primavera turca”, ma la protesta viene trattata dai media essenzialmente come una mobilitazione per salvare il parco della città, luogo di ritrovo e di scambio per i cittadini di Istanbul.
Sembra però sempre più chiaro che non ci sono in ballo solo 600 alberi da salvare: le persone che manifestano chiedono di salvare la democrazia.

I ragazzi turchi usano i social network per chiedere che la stampa estera fotografi la situazione che la stampa nazionale turca sta oscurando. Ieri 40 mila persone hanno marciato sul ponte del Bosforo in direzione di Taksim: l’urlo che i manifestanti alzavano in coro era “shoulder to shoulder against fascism”.
La protesta chiede le dimissioni del presidente Erdogan, accusato di aver avviato una politica autoritaria, improntata al proibizionismo e al controllo del paese tramite la forza militare. Presidente dal 2002, Erdogan è a capo dell’Akp, il Partito per la Giustizia e lo sviluppo: il suo passato lo vede protagonista del disciolto Partito del Benessere, di ispirazione islamico-conservatrice . “La polizia risponde a Erdogan, la Giustizia risponde a Erdogan, i militari rispondono a Erdogan”, recitano sui social network i protagonisti della rivolta.

I report che arrivano dalla Turchia sulle manifestazioni di ieri mostrano una repressione da parte del governo turco condotta con inaudita violenza: foto di civili chiusi in metropolitana e colpiti da gas lacrimogeni, potenti getti di cannoni ad acqua che piegano manifestanti sulle piazze. Il tutto nel silenzio più completo, in modo che l’informazione arrivi priva di limpidezza, attraverso le lenti governative. Durante le manifestazioni la rete telefonica 3G è stata disattivata sull’area di Taksim; la televisione turca ha continuato a trasmettere programmi di divertimento e varietà, senza interrompere le trasmissioni per dare spazio a una diretta che mostrasse la rivolta in corso sulle strade di tutto il Paese.

La Turchia cerca spazio nell’informazione, in modo che i suoi figli non vengano lasciati da soli a lottare.
Su Twitter vengono lanciati gli hashtag #occupygezi #occupyturkey #occupytaksim, per mantenere un filo diretto tra la protesta turca e il resto del mondo.

Articolo di Gabriella Dal Lago


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