TURCHIA: Attenti al kemalismo. Che la rivolta non ci accechi – [foto delle proteste]

Creato il 04 giugno 2013 da Eastjournal @EaSTJournal

Posted 4 giugno 2013 in Opinioni ed eresie, Turchia with 2 Comments
di Matteo Zola

Che questa protesta turca vada presa sul serio, è ormai evidente. La reazione barbarica delle forze di polizia, la violenza inutile e gratuita contro giovani ragazze e ragazzi, ma anche vecchi e persino bambini, l’uso sconsiderato di gas urticanti in metropolitana e di sostanze chimiche dannose per l’uomo, sgomentano. Le immagini che riportiamo testimoniano questa violenza. Ma dopo i primi giorni di scontri e manifestazioni è ora giunto il momento di capire qualcosa di più. Dove stanno le ragioni e i torti, e quali sono i possibili rischi per il paese. Come sempre in questi casi, facciamoci delle domande. Chi sono i contestatori? A chi giova la protesta? Quali possono essere le conseguenze interne? Proviamo a dare delle risposte che non vogliono essere verità rivelate ma possibilità per una riflessione “a freddo”.

La duplice anima della protesta

A veder bene ci accorgiamo di una duplice “anima”. La prima sembra essere non-ideologica, ecologista e democratica, simile ai movimenti dei cosiddetti indignati. Questa, anche a causa della repressione poliziesca, si è esacerbata in posizioni anti-governative pur non rifacendosi a nessun partito politico di opposizione. La seconda, e le molte bandiere “rosse” o con l’effige di Ataturk ne danno immediata visione, è un’anima kemalista. Cosa intendiamo con “kemalista”? Una ideologia politica corporativista, vicina al nazismo (prima) e al socialismo (poi), di tipo nazionalista e razzista (“chi non è un puro turco ha solo un diritto in questo paese, il diritto alla schiavitù” tuonava il ministro della Giustizia di Ataturk nel 1930) che, dalla morte del pater patriae Mustafa Kemal Ataturk, è andata incontro a mutamenti che non ne hanno mai fatto, però, un ideologia democratica. Oggi il kemalismo è rappresentato dal Chp, partito di sinistra che ha ottenuto il 25% dei voti nel 2011, e dal Mhp, partito nazionalista e panturco, che ha preso il 13% dei voti.

Il kemalismo antidemocratico

Ancora una riflessione: il kemalismo, con il pretesto della laicità, ha sempre rovesciato (attraverso l’esercito, garante della nazione fondata da Ataturk) tutti i governi eletti nelle poche votazioni pluri-partitiche andate in scena nel paese dal dopoguerra in poi. Nel 1960, poi nel 1971 e infine nel 1980 tre colpi di stato rovesciarono governi che, di fatto, minavano la supremazia dell’esercito. Ancora nel 1995 (l’altroieri) la vittoria del partito islamico Refah, che aveva abbandonato l’Islam politico per farne un semplice riferimento culturale, viene contestata dall’esercito che pone un ultimatum in seguito al quale il governo si dimette per evitare un nuovo intervento dei carroarmati. Il partito viene poi sciolto dall’esercito che, attraverso il Consiglio nazionale di sicurezza, è il vero padrone della Turchia. In nome della laicità il kemalismo ha asfaltato ogni espressione democratica nel Paese. In nome dei valori “democratici occidentali” di cui era fedele alleato ha distrutto ogni espressione democratica interna. Ma che laicità era quella del kemalismo? Ataturk disse: “Grazie ad Allah sono turco, quindi musulmano. Ogni turco deve essere musulmano”. Il nazionalismo turco si è sempre legato strettamente all’Islam, purché la religione fosse sotto il controllo dell’esercito. Le persecuzioni ai danni delle minoranze etniche e religiose sono storia nota, l’ultima rivolta degli aleviti a Istanbul nel 1994 causò 25 morti. 

Arriviamo così al contestato Erdogan, tutt’altro che un democratico (e i fatti di questi giorni lo dimostrano) ma l’unico capace (anche a causa della fine della Guerra Fredda) di limitare il potere dell’esercito introducendo nuove norme costituzionali e diritti individuali (libertà di assemblea, di culto, etc…).

Le radici della protesta

Torniamo al presente. E’ da due anni, in verità, che Istanbul cova questa protesta: precisamente da quando, nel 2010, alla piazza era stata tolta l’interdizione per manifestazioni pubbliche che durava dal 1977. In questi due anni è diventata il centro del malcontento degli universitari nei confronti di un primo ministro sempre più sprezzante verso il dissenso. Ma piazza Taksim è uno dei luoghi simbolo del kemalismo, e vi sorge il monumento alla Repubblica (inaugurato nel 1928 commemora la guerra d’indipendenza turca guidata da Ataturk). La decisione di Erdogan di farne un centro commerciale ha quindi suscitato la reazione degli ambientalisti, che non volevano la distruzione del parco, e dei kemalisti, che vi vedevano lo sfregio dell’eredità di Ataturk ad opera di un governo islamico che per di più vuole edificarci una moschea gigantesca. Ed è pur vero che il piano di sviluppo urbanistico voluto da Erdogan investe proprio quelle aree di Istanbul popolate da classi sociali che non si riconoscono nel progetto politico e culturale del partito di Erdogan né nel suo modo di tradurre a livello urbanistico quel progetto. E fuori da Istanbul? Izmir è una città “repubblicana” (leggi: kemalista) per eccellenza. Ankara è la capitale mausoleo di Ataturk. Certo queste città hanno dato alla rivolta un carattere diverso, più “repubblicano”, rispetto a quello stanbuliota, Ma ormai sono tutte le città, anche quelle più tradizionaliste, a dar vita a proteste.

Dunque chi sono i manifestanti? Democratici “indignati” e social-kemalisti, ma anche elettori di Erdogan che vorrebbero un rinnovamento dopo dieci anni di potere. Alle violenze hanno poi partecipato anche gruppi di ultras che, in genere, sanno muoversi in modo organizzato e hanno dato alle proteste un carattere di guerriglia. Se i primi non possono che godere della simpatia di tutti, i secondi possono forse diventare il grimaldello per una restaurazione kemalista? Fin qui i media europei hanno acriticamente sostenuto le proteste contro il “dittatore” Erdogan, ma Erdogan (che non è un democratico) non è un dittatore. Anzi, il suo governo può forse essere stato apripista per un reale sviluppo democratico che estrometta del tutto l’esercito dalle stanze del potere e trasformi la Turchia in una democrazia compiuta. Erdogan punta sul referendum del 2014 per trasformare il Paese in una repubblica presidenziale (dove l’esercito dipende, come ovunque, dal presidente e non viceversa) ma è ovvio che veda se stesso come Presidente. Questo non va giù né ai democratici “indignati” (in genere giovani istruiti delle grandi città) né ai “neokemalisti” di vario ordine e grado. Se questa protesta portasse alla fine del governo del partito islamico, cosa succederebbe?

Ecco cosa circola su internet quale “proclama ufficiale” della protesta la cui ufficialità, è ovvio, è tutta da dimostrare ma che certo incarna una delle “anime” della protesta:

“…Hai ficcato il naso nelle mie sigarette, hai ficcato il naso nelle mie bevande, nella mia camera da letto, hai fatto rimuovere le immagini di Ataturk, hai dato dell’”infedele” ad Izmir, hai ostacolato il 10 novembre (giorno commemorativo della morte di Ataturk ndr), hai ostacolato il 29 ottobre (festa della Repubblica ndr), hai ostacolato il 23 aprile (festa dei giovani ndr), hai dato del “malate di osteoporosi” alle madri dei martiri, hai fatto combriccola con i terroristi delle montagne, non hai detto una parola sulla morte di molte donne, hai proibito i voti, non hai mai usato l’İnno nazionale in nessun meeting, ti sei seduto al tavolo con quel bastardo di Apo (Abdullah Ocalan, capo del PKK ndr), non hai rispettato la parola data ad Obama, hai ficcato il naso nei telefilm, hai dato diritti al consiglio del PKK, hai rimosso la scritta “T.C.” (Turkiye Cuhmurieti /Repubblica Turca ndr)… Secondo te, adesso la Turchia si è levata solo per il parco Gezi?…”

Il testo originale del proclama diffuso dai protestatari

Un nuovo golpe “soft”?

Pensare a un nuovo golpe pare eccessivo ma la storia riserva sorprese e di “golpe soft” in Turchia ce ne è già stato uno, nel 1997, che portò alla fine del Refah (dalle cui ceneri nacque l’Akp). Erdogan è un fiero antikemalista (si fece anche il carcere nel 1998) ma non è un fondamentalista islamico né un autocrate. Piazza Taksim non è piazza Tahrir, qui non c’è il tiranno. E quella turca non è una primavera ma, dopo dieci anni di sviluppo economico vertiginoso, forse un autunno. Se dobbiamo scegliere, da democratici, tra Erdogan e una “restaurazione kemalista”, forse è meglio Erdogan. Se potessimo scegliere, insieme ai molti nostri coetanei turchi, il futuro di quel Paese, vorremmo una superamento di Erdogan in senso democratico.

Una democrazia che ancora non esiste in Turchia se dobbiamo vedere bande di poliziotti e persone non identificate (chi sono?) andare in giro con bastoni per le strade di Izmir. Se dobbiamo vedere gas lacrimogeni lanciati in metropolitana di Istanbul, persone colpite a morte da proiettili di gomma, gas urticanti e pestaggi contro persone inermi, una barbarie poliziesca che è tutta responsabilità di Erdogan. Una barbarie che grida vergogna ma che, nella costernazione, non deve farci confondere sui rischi che una Turchia destabilizzata potrebbe correre. La protesta, legittima e condivisibile, non deve accecarci nel valutare le possibili conseguenze. Come i gas non devono accecare i manifestanti servendo la loro protesta su un piatto d’argento alle forze della reazione. E’ successo a Teheran nel 1979, a Bucarest nel 1990, al Cairo nel 2011. Speriamo non a Istanbul nel 2013.



Il testo originale del proclama diffuso dai protestatari

Foto da http://showdiscontent.com/


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