Turchia – crescita a vista (intervista a Livio Manzini)

Creato il 08 aprile 2013 da Istanbulavrupa

(pubblicato oggi su Develop.med dell’Istituto Paralleli)

Livio Manzini è un italiano di Istanbul, l’amministratore delegato della Bell Holding che controlla aziende leader nel settore del packaging (plastica e metallo). I Manzini sono qui da alcune generazioni. Il primo ad arrivare è stato il bisnonno di Livio – originario del modenese, già precedentemente emigrato in Germania – che ha lavorato all’arsenale ottomano come esperto di cannoni per la Krupp. La Bell è invece nata negli anni ’30. La Bell si è occupata prima dell’importazione di sapone da Liverpool (il Sunlight Soap dei fratelli Lever), è passata alla produzione industriale già negli anni ’50 e oggi esporta in più d trenta paesi. Dispone di cinque stabilimenti a Istanbul, più altri due ad Adana nella Turchia meridionale e a Stara Zagora in Bulgaria. Il gruppo è articolato su sette aziende in totale, più una joint-venture turco-francese – nata proprio quest’anno – che produce contenitori per gelati.

Il dottor Manzini – studi a Parigi, un’esperienza alla Glaxo prima in Italia e poi in Turchia – è ovviamente deluso dalla pubblicazione dei più recenti dati macroeconomici, che parlano di appena 2,2% d’incremento del Pil – al di sotto delle previsioni e delle aspettative del 3-4% – contro l’8,8 del 2011. “Il governo ha fatto di tutto per raffreddare l’economia e ridurre il disavanzo nella bilancia dei pagamenti; evidentemente c’è riuscito visto che nel quarto trimestre del 2012 la crescita è stata praticamente pari a 0”. Soprattutto si chiede – da industriale – “che bisogno c’era di intervenire anche sulla domanda interna, in una fase di crisi dell’economia globale e soprattutto europea?”. Deve però ammettere – mettendosi nei panni delle autorità di Ankara – “il pericolo di non riuscire a reperire crediti sufficienti a coprire i deficit della bilancia dei pagamenti in un’economia surriscaldata”. Insomma, l’obiettivo era condivisibile, ma è stato perseguito forse in modo troppo aggressivo.

Se però usciamo da un’ottica di breve periodo e allarghiamo gli orizzonti al medio e lungo periodo, Manzini ritrova l’ottimismo. La sua analisi riguarda cambiamenti irreversibili nei dati socio-demografici: il calo marcato delle nascite e la riduzione delle dimensioni medie delle famiglie, l’aumento conseguente del reddito disponibile in un contesto di propensione al consumo di tipo capitalistico. Si tratta di una vera e propria “età dell’oro” che in Turchia è appena agli inizi, un fenomeno i cui effetti benefici per le imprese sono moltiplicati dalla parallela urbanizzazione (che fa nascere ulteriori bisogni da soddisfare). “Durerà alcuni decenni, solo successivamente ci si dovrà preoccupare dell’invecchiamento medio della popolazione”.

L’AD della Bell considera il mercato turco “molto interessante, sia per chi vuole esportare sia per chi vuole produrre”. Fa l’esempio della legge sulla ricerca e sviluppo: l’obiettivo è di arrivare entro il 2023 al 3% del Pil in investimenti per R&D, sfruttando però i “cervelli” turchi; e giudica anche il management turco di ottima qualità, già sperimentato in posizioni di responsabilità a livello internazionale. Dopotutto, la Turchia si sta affermando come “centro direzionale” dei grandi gruppi internazionali per i Balcani, l’Asia centrale e il Medio oriente (e magari in futuro anche per Russia e Ucraina). Anche perché “una burocrazia snella consente di aprire una filiale in poco tempo e senza aver bisogno di un partner locale”. Ma c’è anche qualche controindicazione: “la Turchia è un mercato molto competitivo e price-sensitive, i costi possono rivelarsi molto elevati; di conseguenza, conviene investire solo se si è in grado di portare valore aggiunto”.

E’ il caso della neonata Tulipak, l’azienda creata insieme a un partner francese che produce essenzialmente vaschette per gelato. “Le producono in molti, ma noi siamo capaci di farle molto più sottili e comunque in grado di resistere a temperature di -14°, così da avere un grande risparmio sui costi della plastica”. Più in generale, il consiglio principale per chi vuole investire in Turchia è quello di “costruire nel tempo il proprio mercato – con presenza e pazienza – attraverso un piano strategico su almeno 10 anni”; magari sfruttando – per quanto riguarda le aziende italiane – i “preconcetti positivi” che ancora resistono verso la nostra cultura : l’agro-alimentare, la moda, il design.

Ma a volte anche ai turchi conviene delocalizzare, come è accaduto per lo stabilimento in Bulgaria. Facilmente raggiungibile da Istanbul, in quattro ore, che scenderanno a tre dopo l’ammodernamento delle autostrade bulgare; con costi inferiori alla Turchia per quanto riguarda manodopera, management, benzina ed elettricità, terreni; in grado di assicurare una buona produttività grazie al personale – spesso appartenente alla minoranza turca – “che ha la cultura del metallo e una apprezzabile disciplina nel lavoro”. Soprattutto, essere presenti direttamente nel territorio dell’Unione europea permette di superare le storture determinate dall’unione doganale, in virtù della quale la Turchia è costretta ad accettare le facilitazioni accordate ai paesi terzi legati all’Ue da accordi di libero scambio, senza però godere della reciprocità. In ogni caso, Livio Manzini ha preferito questo investimento a un’iniziativa imprenditoriale nel sud-est della Turchia, nonostante gli incentivi accordati dal governo. “Non avremmo trovato le stesse condizioni favorevoli”, è il suo commento.

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