Continua in Turchia la rivolta popolare: decine di migliaia di persone continuano a manifestare nella notte, e ad Ankara ci sono stati nuovi scontri con la polizia.
Grande fermento per il rientro del premier Recep Tayip Erdogan, che dopo quattro giorni di assenza per una visita ufficiale nel Maghreb, è tornato in patria Sia il presidente Abdullah Gul che il vice premier Bulent Arinc temono infatti che il suo ritorno possa far adirare ancora di più i manifestanti, specie dopo le sue parole pesanti per descrivere quanto accaduto nei giorni scorsi.
Il premier si è difeso dalle accuse che individuano in lui un dittatore, e ha predicato in modo poco convincente, che dietro ai disordini si nasconde “un'organizzazione terroristica”, per cui si è rivolto alla popolazione lanciando un appello: “Se voi amate questo Paese, se amate Istanbul, non cadete in questi giochi: sono condotti da una frangia estremista”.
Intanto migliaia di lavoratori, mobilitati da due grandi sindacati di sinistra, il KESK (la confederazione dei sindacati del settore pubblico) e il DISK (la confederazione sindacale degli operai rivoluzionari), sono scesi per le strade unendosi ai manifestanti, per rivendicare tutti insieme i loro diritti di cittadini.
Piazza Taksim è piena di bandiere turche e di cartelli con slogan come “Taksim resisti, arrivano i lavoratori”, “Tayyip, arrivano i vandali!”, “Taksim è ovunque”, “Sgomberate le strade, arrivano i rivoluzionari”. Persone unite, compatte e senza paura, che continueranno nella loro lotta e che aspettano pubblicamente le scuse di Erdogan, non accontentandosi di quelle del vice premier. Come spiegato da Tansu Tahincioglu, a capo di una società di internet: “Prima la gente esitava ad esprimere la sua paura in pubblico, anche i tweet erano un problema. Ora non ha più paura. Ergogan deve presentare le sue scuse, dimettersi e comparire davanti ad un tribunale per eccesso della forza e tutto quel che ha fatto ai media”.