Turchia: il futuro poco roseo dopo il voto
Creato il 13 giugno 2011 da Bloglobal
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di Giuseppe Dentice
Si sono svolte ieri
in Turchia le più importanti elezioni politiche degli ultimi anni, che hanno
visto la vittoria del AKP, il Partito islamico-moderato“Giustizia e Sviluppo” guidato dall'attuale premier
Recep Tayyip Erdogan. Il partito, nonostante la vittoria conseguita (ha
conquistato il 50,1% dei voti) non raggiunge il quorum necessario per
portare avanti da soli, secondo quanto previsto dalla legge nazionale, le
riforme costituzionali. La quota minima per approvare leggi costituzionali è di
330 deputati, con il successivo ricorso al referendum.
Il Paese durante
questa campagna elettorale è stato pervaso da una rinnovata tensione politica e
sociale. Lo scorso 26 maggio, durante la tappa ad Istanbul del tour
elettorale del premier Erdogan, una bomba è esplosa ferendo 7 persone.
Nessuna rivendicazione
è stata compiuta, ma la polizia turca presume che possa
trattarsi dei separatisti curdi del PKK. Il clima rovente di questa
campagna elettorale potrebbe continuare anche dopo la le elezioni. Altri
episodi preoccupanti avevano infatti contraddistinto il periodo di campagna
elettorale, come gli scontri tra manifestanti curdi e la polizia nelle città di
Istanbul,
Diyarbakir,
Batman e
Bingol.
Inoltre, si è verificato un sistematico attacco agli uffici rappresentativi
del BDP (partito filo-curdo) a Istanbul, Kocaeli
e Bursa.
Pertanto, il tour elettorale di Erdogan nelle provincie a maggioranza
curda è stato piuttosto fallimentare. Inoltre, sono state completamente disattese le richieste
avanzate da numerosi politici curdi, tra cui Osman Baydemir e Leyla
Zana, per un riconoscimento formale, sia sul piano dei diritti
civili sia per un maggiore coinvolgimento della loro rappresentanza politica,
durante la campagna elettorale. Le due principali compagini politiche turche
(AKP e CHP) per cercare di aumentare il proprio peso all'interno del Majlis
(Parlamento), si sono scontrati, infatti, principalmente sui temi della sicurezza e sulla
questione curda.
Il CHP (il Partito
kemalista), che si trova all'opposizione, ha incentrato parte della sua
campagna elettorale sulla “questione curda”. Il leader del
partito, Kemal Kilicdaroglu, ha tenuto diversi comizi nelle regioni
sud-orientali a maggioranza curda, sostenendo un'apertura maggiore verso i
Curdi ma negando qualsiasi alleanza con il BDP. A differenza di Kilicdaroglu,
il premier Erdogan ha impostato tutta la campagna elettorale presentando
i risultati economici del suo governo e la maggiore intraprendenza
internazionale del Paese. Erdogan ha presentato l’ambizioso progetto “Hedef
2023” (il 2023 coincide con il centenario della fondazione della Repubblica
Turca): in tema di politica economico-sociale l'AKP ha proposto l'abolizione
dell’obbligo di leva nel servizio militare, così come
l’intenzione di creare un nuovo piano di edilizia popolare che
consenta alle giovani coppie sposate di accedere a mutui a tassi zero per
l’acquisto della prima casa; il partito di maggioranza, inoltre, ha presentato
il faraonico progetto di creazione di un canale ad ovest del Bosforo che
permette la diversificazione delle vie del traffico commerciale marittimo delle
petroliere e dei cargo, evitando l'intasamento degli stretti di Istanbul. Ma in
tema di sicurezza e sulla questione curda il premier ha negato più volte
durante i suoi comizi l'esistenza di una tale “problematica”, considerando i
curdi prima di tutto dei cittadini turchi. Questa nuova posizione, in netto
contrasto con la durezza del passato, lascia intendere come il nuovo approccio dell'AKP
nei confronti dei Curdi sia basato sul concetto di "inclusione
passiva", avendo pertanto come fine la delegittimazione delle richieste di autonomia del BDP.
La Turchia oggi è un
Paese in piena evoluzione politica ed economica. Il PIL pro capite, secondo i
dati dell'Intelligence Economist Unit, è triplicato, da 3.500 a 10.079
dollari statunitensi. Questo risultato economico ha permesso ad Ankara di
perseguire una politica estera più determinata. Sotto l’AKP la
politica estera turca, basata sulla strategia “zero problemi con i vicini”
promossa dal Ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu, ha cercato di migliorare le
relazioni diplomatiche, economiche e culturali con tutti i Paesi confinanti,
assumendo maggiore dinamismo nel Caucaso e nella regione mediorientale. Il
Paese, nonostante lo sviluppo e la prosperità, rimane una nazione in lotta con
il suo passato e rischia anche nell'immediato futuro di rimanere in trincea se
non si riuscirà a risolvere i problemi attraverso un processo di pacificazione
nazionale promosso dalla politica. Restano molte questioni spinose (libertà
sociali e individuali, nuova Costituzione, deriva populiste, etc.) e molte
legate alla “causa curda”: la richiesta di arresti domiciliari per Abdullah
Ocalan, leader del PKK detenuto dal 1999, la questione della maggiore
autonomia per la regione curda e quella dell’insegnamento in lingua curda. Le
aspre polemiche politiche in Turchia potrebbero rappresentare l’ostacolo
maggiore alla creazione del consenso necessario per stabilire dopo il voto una
nuova Costituzione che prenda in considerazione questioni centrali come i
diritti delle minoranze, la libertà di stampa, le riforme religiose e le
relazioni fra ambito civile e militare se non si affronta in maniera seria e
decisa la “questione curda”. Il problema dei Curdi è stato sempre affrontato o
militarmente o considerando questi un prodotto del sottosviluppo. Questa era la
visione promossa in maniera semplicistica dall’ex-Primo Ministro Bulent Ecevit,
che pensava di dover trattare il problema come un fenomeno di natura economica
causato dalla povertà e dalla deprivazione della regione sud-orientale. Il
ragionamento di fondo era il rifiuto dell’esistenza dei Curdi nel Paese, intesi
come gruppo etnico separato con la propria cultura e la propria lingua,
entrambe represse brutalmente dal panturchismo. L’idea era che se si fosse
riusciti a promuoverne lo sviluppo della regionale, i propri abitanti si
sarebbero dimenticati della loro identità naturale e sarebbero divenuti
“Turchi”. Tuttavia, la povertà e la deprivazione della regione sud-orientale,
sebbene abbiano contribuito ad aumentare il desiderio di autonomia, non ha
generato il terrorismo separatista curdo, ma, semmai, hanno radicato il senso
di identità, un po' come è avvenuto in Spagna per i Baschi e i Catalani. Lo
stesso può dirsi anche per gli Aleviti che vivono in Turchia. Essi hanno
conosciuto una sorte analoga a quella curda a causa della discriminazione
religiosa e oggi continuano a battersi per il loro riconoscimento. Gli Aleviti
hanno una loro identità ma molti in Turchia li considerano alla stessa stregua
dei Curdi, dei prodotti del sottosviluppo come vorrebbe la politica, o peggio
ancora, dei miscredenti o comunque dei non musulmani. Il punto della divisione
interna tra Turchi oggi risiede in questo: una frattura sempre maggiore tra
religiosi e laici che potrebbe sfociare in un nuovo conflitto sociale e
portare, come in passato, a nuovi golpe se l'esercito, custode della
tradizione kemalista, declinerà definitivamente al suo ruolo super partes e garante della unione
nazionale.
A far temere
possibili derive più populiste e meno secolarizzate sono stati i toni di
Erdogan in campagna elettorale che hanno assunto caratteri marcatamente
nazionalisti, orientandosi su una linea politica particolarmente filo-islamica.
Questo rafforzamento del potere è stato favorito dall'accresciuto ruolo della
polizia, diventata notevolmente più forte e dominata dai membri di una minoranza
musulmana guidata dalla controversa figura dell’imam Fetullah Gulen. Le
conseguenze sono state particolarmente pesanti soprattutto per la libertà di
stampa: oltre cinquanta giornalisti sono in carcere al momento, nella maggior
parte dei casi con l'accusa di cospirazione contro lo Stato; sono stati chiusi
alcuni siti web rei di deviare la formazione dei giovani; sono state perpetrate
minacce nei confronti di politici dell’opposizione, come, ad esempio, la “decapitazione”
dei vertici del partito kemalista per uno scandalo sessuale.
Infine, se
l’AKP avesse ottenuto oltre i due terzi della maggioranza in Parlamento, il
pericolo di tendenze accentratrici sarebbe stata sempre più concreta.
L’obiettivo dichiarato di Erdogan per la prossima legislatura è riscrivere la
Costituzione, che è ancora essenzialmente quella che fu redatta dopo il colpo
di stato del 1980. L'intenzione del governo sarebbe di cambiarla senza dover
negoziare con nessun’altra parte politica. Erdogan ha già detto più volte che il
suo obiettivo è trasformare la Turchia in una Repubblica presidenziale alla
francese, il che gli consentirebbe di candidarsi alla presidenza per altri due
mandati anche dopo la fine del suo terzo incarico come Primo Ministro.
È
indubbio che la Turchia oggi abbia impresso un deciso passo sulla strada del
progresso, come testimoniano la maggior parte degli indici di sviluppo del
Paese. Anche sul piano della politica internazionale Ankara è riuscita a
conquistare un ruolo di rilievo grazie alla nuova politica del Ministro degli
Esteri Davutoglu, definita “neo-ottomana”. Ciò nonostante, il Paese deve ancora
affrontare i moltissimi problemi interni, a cominciare dai movimenti di
indipendenza delle minoranze. Inoltre, Erdogan sembra introdurre nuovi problemi
con i suoi atteggiamenti accentratori, come la limitazione alla libertà di
espressione, con la censura di internet, la scarsa protezione offerta ai
giornalisti. Ma se non si promuove una pacificazione interna vera volta a dare
stabilità si rischia di spaccare il Paese in due tronconi disomogenei che
mettono a rischio i consolidati automatismi della società turca, con evidenti
conseguenze non solo sugli equilibri regionali, ma anche internazionali.
* Giuseppe Dentice è Dottore in Scienze Internazionali (Università di Siena)
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