TURCHIA: La protesta per il film su Maometto si allarga, Erdogan non si schiera

Creato il 16 settembre 2012 da Eastjournal @EaSTJournal

Posted 16 settembre 2012 in Slider, Turchia with 2 Comments
di Silvia Padrini

Qualche giorno fa il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha inviato un messaggio personale al primo ministro turco, chiedendogli di esprimersi in modo forte contro le violenze infuriate nell’ultima settimana in molte aree del mondo musulmano. Ora il paventato incendio sembra essere molto più circoscritto, ma la tensione rimane alta. La causa scatenante è il video, disponibile su internet, i cui contenuti offendono deliberatamente la religione  islamica.

Dopo l’attacco all’ambasciata di Bengasi,  che ha provocato la morte dell’ambasciatore in Libia Chris Stevens e di altri tre americani, l’apice degli scontri si è avuto lo scorso venerdì, nel giorno della preghiera per i fedeli musulmani. La protesta ha infuocato le piazze delle città dal Cairo allo Yemen, da Sydney all’Iran. Rincorrendosi e smentendosi si susseguono le notizie, le ipotesi e i sedicenti scoop riguardo la produzione artefice di “Innocence of Muslims”: tra registi accusati di frode bancaria, attrici inconsapevoli, burattinai nascosti tra le file dei repubblicani, il calderone è di quelli da perdercisi e non capire più di cosa si stava parlando. Certo è che il video, di qualità amatoriale e totalmente privo di velleità artistiche, è una semplice espressione di bassezza e desiderio di offendere. Hilary Clinton l’ha definito “disgustoso e riprovevole”. Senza dubbio lo è. Ora ci si chiede quale sia la reazione più adeguata ad un’offesa di questo tipo. L’ondata di violenza a cui il mondo ha assistito in questi giorni è ingiustificabile e cieca, ma non è altro che la fiammata che nasce da benzina lanciata sul fuoco. Con tutte le questioni aperte che permangono tra mondo  musulmano e l’”occidente”, ogni reazione, e ogni reazione alla reazione non può essere nient’altro che esagerata.  Lo scontro non è causato di volta in volta da un film o una vignetta, ma è latente.

Nel frattempo, Google ha bloccato l’accesso al video in Egitto, Libia, India, Malesia e Indonesia mentre in Bangladesh, Afghanistan e Pakistan gli stessi governi hanno reso inaccessibile il sito di YouTube. Anche l’Arabia Saudita dei wahhabiti minaccia di prendere gli stessi provvedimenti censori. Così, è inevitabile iniziare a chiedersi quale sia il confine della libertà d’espressione e quando questa sia da sacrificare per la sicurezza.

Recep Tayyip Erdogan, nei giorni scorsi ha dichiarato che l’insulto all’islam non va annoverato tra i diritti previsti dalla libertà d’espressione, ma che ciò non dà diritto a reagire con violenza. Ora però è tempo di elaborare una strategia che dimostri con più forza perché è preferibile non raccogliere la provocazione. Obama chiede a Erdogan di esprimersi e intanto ad Ankara si aggiungono altri  focolai di protesta oltre ai numerosi che si vedevano già sparsi in giro per il mondo. I fedeli radunati vicino all’ambasciata americana a stento superavano la cinquantina, ma gli slogan rivolti alla casa bianca risuonavano minacciosi quanto quelli echeggiati al Cairo. I contestatori hanno urlato al governo di non assecondare le istruzioni americane.

Erdogan si trova in mezzo a due fuochi. In Turchia la protesta non è divampata come in altre regioni ma la reazione non è di apatia o disinteresse. Semplicemente, qui l’approccio alla religione è diverso, la questione è più privata che pubblica e l’ombra lunga del “secolarismo obbligatorio” limita ancora la società nelle sue espressioni più spontanee. Con dovizia di elementi, Mustafa Akyolopinionista del quotidiano Hurriyetspiega in un articolo del 19 settembre perché “i turchi sono più calmi”. La ragione sarebbe da ritrovarsi, tra le altre, nell’assenza nella storia turca di violenza islamista organizzata e nella condizione socio-economica oggi privilegiata nel mondo musulmano. I turchi avrebbero, in buona sostanza, modi più “civili” per reagire. A  voler indagare, in effetti, un’iniziativa recente contro il video tristemente famoso arriva da due avvocati che hanno depositato la propria accusa ufficiale contro  gli artefici di “Innocence of Muslims” all’ufficio del procuratore di Stato ad Ankara. Vale a dire, la questione in Turchia è affrontata con altre maniere, ma interessa. Condividere una fede spesso non significa condividere anche gli ideali, ma talvolta ci si può influenzare, e quando va bene questo accade in senso positivo.

La Turchia è nella condizione potenziale per tentare una maggiore capacità attrattiva, non solo nelle relazioni internazionali, ma anche nelle questioni religiose. La posizione del primo ministro turco forse non avrà la forza di placare gli animi dei fedeli musulmani molto più di quella di un tagliente Benedetto XVI, ma è importante che in questo momento un leader di uno Stato a maggioranza musulmana trovi una chiave di lettura convincente per le varie parti in causa, un’efficace equilibrio perché quel video torni ad essere un inutile video denso di ignoranza.

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Tags: Erdogan, Innocence of Muslims, islam, Obama, politica interna, proteste, relazioni internazionali, Religione privata, Sentimento religioso, Silvia Padrini, Turchia Categories: Slider, Turchia


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