Turchia, la questione curda dopo il voto

Creato il 30 giugno 2015 da Bloglobal @bloglobal_opi

Come sempre accade le elezioni politiche di un Paese non si giocano su una sola tematica ma ruotano attorno ad una complessa rete di questioni. Le consultazioni che si sono svolte lo scorso 7 giugno in Turchia non hanno costituito in questo senso un'eccezione: oltre ai temi economici - che non hanno tuttavia avuto la stessa rilevanza dello scorso decennio -, a quello relativo alla proposta di modifica della Costituzione in senso presidenziale da parte del Partito Giustizia e Sviluppo (Adalet ve Kalkınma Partisi - AKP) e dunque a quello riguardante le tendenze autoritarie del Presidente Recep Tayyip Erdoğan, ha assunto una rilevanza particolare la tradizionale questione curda.

Il problema curdo gioca certamente una parte rilevante all'interno della politica turca sin dalla nascita della Moderna Repubblica di Turchia avvenuta ad opera di Mustafa Kemal, detto Atatürk, nel 1923. Coerentemente con l'idea del padre della patria, che prevedeva l'instaurazione di uno Stato mono-nazionale ("uno Stato, un'etnia") in contrasto con la pluri-nazionalità dell'Impero ottomano, le minoranze etniche non sono mai state del tutto accettate all'interno dello Stato. Nelle parole dell'ex Ambasciatore statunitense ad Ankara, Morton Abramowitz, " La Turchia moderna non ha mai accettato la nozione di una minoranza etnica curda detentrice dei diritti delle minoranze. I turchi hanno accettato facilmente i curdi come turchi ma hanno difficilmente permesso che i curdi fossero al contempo sia curdi che turchi " [1].

L'emersione alla fine degli anni Settanta del Partito Curdo dei Lavoratori (PKK) guidato da Abdullah Öcalan, movimento indipendentista rivoluzionario di ispirazione marxista, ha inasprito ulteriormente il confronto - che non si è limitato solamente all'aspetto puramente politico - al punto che per molti anni l'indipendentismo curdo è stato considerato la principale minaccia alla sicurezza del Paese. Nel contempo tutti i partiti che si ergevano a difensori della causa curda sono stati uno alla volta chiusi dalla Corte Costituzionale in quanto considerati una minaccia per l'integrità dello Stato. Unica eccezione in questo senso è stata il Partito della Pace e della Democrazia (Barış ve Demokrasi Partisi - BDP), che si è volutamente sciolto per fondare il Partito Democratico Popolare (Halkların Demokratik Partisi - HDP).

Finora le formazioni filo-curde avevano preferito candidare i propri membri come indipendenti anziché presentarsi come partito, in quanto ciò avrebbe permesso di bypassare la soglia di sbarramento del 10%, risultato che le stesse organizzazioni curde non sono mai riuscite a raggiungere. La scelta di inserire una soglia di ingresso così elevata è figlia del colpo di Stato militare guidato dal Capo di Stato Maggiore, Generale Kenan Evren, del 1980: dopo il precedente decennio di instabilità politica, economica, sociale e di sicurezza, la scelta degli ufficiali è stata quella di restringere il campo politico espellendo tutte le forze minori, non ultimi proprio i partiti di matrice curda, che avrebbero potuto minare ulteriormente la tenuta del sistema. Attualmente in Turchia vi sono circa un centinaio di partiti attivi [2], di cui solo tre hanno goduto fino ad oggi di una rappresentanza politica diretta in Parlamento, mentre un quarto, l'HDP appunto, ha potuto contare su una serie di parlamentari eletti nei vari collegi come indipendenti invece che rappresentanti di una lista di partito. Rinfrancato dal risultato ottenuto alle presidenziali dell'agosto scorso (quando ottenne il 9,78%), Selahattin Demirtaş ha dunque deciso di tentare il salto di qualità presentando una propria lista con un proprio simbolo per fare di HDP una forza politica di riconosciuta rilevanza nazionale.

Mentre i commentatori si sono scatenati in un'ampia serie di analisi per valutare la saggezza della decisione [3], la scelta del partito di Demirtaş ha cambiato completamente gli scenari post-elettorali. I risultati infatti hanno dato ragione all'HDP: l'AKP ha ottenuto il 40,98% dei consensi, riuscendo a conquistare solamente 258 deputati, mentre i repubblicani del CHP (Cumhuriyet Halk Partisi) e i nazionalisti di MHP (Milliyetçi Hareket Partisi) si sono attestati rispettivamente con il 24,82% e il 16,27%, entrambi sotto le aspettative. Con il 13,44% dei voti HDP non solo ha superato abbondantemente la soglia di sbarramento, ma ha anche conquistato 81 seggi in Parlamento, uno in più dell'MHP, divenendo dunque la terza forza nazionale [4].

Per comprendere dunque quale potrebbe essere il destino della questione curda appare utile soffermarsi sui programmi elettorali con cui l'HDP e l'AKP si sono presentati alle ultime consultazioni.

Il manifesto dell'HDP presentato lo scorso 21 aprile enunciava in 12 punti le linee del partito riguardanti principalmente i temi dei diritti delle minoranze e della lotta contro le discriminazioni [5]. L'operazione ha permesso di allargare la base del partito attirando i voti non più solo della popolazione curda ma anche di altre minoranze presenti nel Paese (nelle liste erano presenti candidati di origine greca e armena oltre a rappresentanti della comunità Yazida e di quella Rom) [6] oltre che dei sostenitori delle istanze della sinistra libertaria (parità di genere, diritti LGBT, libertà di espressione ecc.). Scendendo nei dettagli della questione curda, l'HDP proponeva di superare un doppio fondamento: da un lato veniva rigettato il principio "uno Stato, un'etnia", cardine della nazione kemalista; dall'altro veniva rifiutata la violenza come mezzo di lotta politica [7]. Con queste parole d'ordine l'HDP intendeva non solo difendere la causa curda ma anche rasserenare coloro che temevano le velleità scissionistiche del partito di Demirtaş. L'intenzione di HDP, infatti, sembra essere quella di normalizzare la questione curda e di ricercare una soluzione politica affrontandola in un'ottica di partecipazione democratica e di decentralizzazione. Il nuovo drappello di parlamentari avrà come probabili obiettivi intermedi la fuoriuscita del PKK dalla lista delle organizzazioni considerate come terroristiche e la promozione di una maggiore autonomia amministrativa. In altre parole l'obiettivo principale dell'HDP sarebbe quello di perseguire la democratizzazione per via parlamentare contando sull'appoggio delle numerose amministrazioni locali conquistate nel 2014 sotto le effigi del BDP. La nuova strutturazione, infatti, inaugurata in seguito alle amministrative dello scorso anno, prevede l'inquadramento degli eletti sotto la sigla del disciolto partito curdo all'interno dell'organizzazione dell'HDP pur mantenendo attive entrambe le sigle. Il mantenimento della doppia dicitura appare finalizzato all'attuazione di una formula sintetizzabile in " BDP per un Kurdistan autonomo, HDP per una Turchia democratica [...]. La principale responsabilità del BDP includerà la formazione di assemblee regionali e cittadine e la ricerca di soluzioni ai problemi politici ed economici in Kurdistan. La principale responsabilità dell'HDP sarà di cambiare radicalmente il sistema politico della Turchia " [8]

Per quanto riguarda il manifesto elettorale dell'AKP, il "Contratto con la Nuova Turchia", come è stato chiamato dai suoi estensori, molte parole sono state spese per parlare di "cittadinanza eguale" e di "dignità umana". Scarso peso al contrario è stato assegnato alla questione curda. L'AKP pare aver derubricato il processo di pace dall'agenda politica nazionale [9]. Tale processo è stato negli anni passati un elemento estremamente rilevante all'interno della politica dell'AKP. Esso consisteva in un pacchetto di riforme definite "democratizzatrici" e nell'instaurazione di un dialogo con lo storico leader del PKK Abdullah Öcalan. Dopo il fallimento del cosiddetto "Processo di Oslo", incontri tenutesi nella capitale norvegese tra membri di rilievo dell' intelligence turca (MIT) e ufficiali del PKK tra il 2008 e il 2011, il governo turco decise di instaurare un dialogo diretto con il leader del PKK detenuto nell'isola-prigione di İmralı. Le trattative apertesi nel settembre del 2012 hanno spinto Öcalan a decretare un cessate il fuoco nel mese di marzo del 2013 attraverso una lettera aperta declamata durante le celebrazioni del Newroz(capodanno persiano che per gli abitanti del sud-est è divenuto negli anni un simbolo della propria identità curda) nella città di Dyarbakir. Nel settembre successivo l'AKP rese pubblico il proprio pacchetto di democratizzazione che prevedeva, tra le altre cose, la possibilità di utilizzare lingue diverse dal turco nelle scuole private e il reinserimento dei nomi originali a quelle città che avevano subito il processo di "turchizzazione kemalista". Le riforme sono state accolte in maniera tiepida dall' establishment filo-curdo che vedeva in questo pacchetto solo una trovata per acquisire consenso elettorale senza che venissero portate a termine concessioni reali. Alla vigilia delle elezioni amministrative il governo decise di accorciare i termini della detenzione preventiva da dieci a cinque anni portando nel contempo avanti alcune iniziative per il rilascio di prigionieri malati. Il movimento nazionale curdo, pur notando la presenza di alcuni sub-articoli in grado di vanificare le aperture (ad esempio uno che lasciava alla discrezione dell'autorità giudiziaria la scelta di quali prigionieri malati rilasciare), prese atto dei passi avanti che erano stati posti in essere attraverso queste riforme. Il processo è proseguito poi durante l'anno con un coinvolgimento sempre più stretto del MIT guidato da Hakan Fidan (la cui fede erdoganiana è confermata dalla decisione, poi sconfessata, di dimettersi per correre alle elezioni tra le file dell'AKP) che dall'aprile del 2014 è ufficialmente ed apertamente un mediatore all'interno del processo [10]. In questo contesto nel febbraio di quest'anno Öcalan decise di rilasciare un documento, il Draft for Peace and Democratic Negotiations, in cui elencava dieci richieste che prevedevano alcune non ben precisate forme di autonomia amministrativa da richiedere al governo. Attraverso il processo qui descritto Erdoğan ambiva a passare alla storia come colui che è stato in grado di risolvere una questione aperta sin dalla nascita della Repubblica. Il risultato elettorale, però, sembra aver allontanato questo obiettivo. La tattica utilizzata dall'AKP parrebbe infatti essere stata quella di legare la risoluzione della questione curda alla riforma della Costituzione. Non è un mistero infatti che il partito del Presidente fosse intenzionato a rivedere il testo costituzionale per trasformare di fatto la Turchia in una Repubblica presidenziale aumentando notevolmente i poteri nelle mani del Capo dello Stato. Lo scambio, mai esplicitato apertamente ma sotteso a tutta la campagna elettorale, consisterebbe nel richiedere un appoggio ai curdi per la modifica della Costituzione con la promessa di utilizzare poi i maggiori poteri a disposizione del Presidente per dare una sferzata al processo di pace risolvendo definitivamente la questione. Tale scambio sarebbe potuto avvenire attraverso due modalità: la prima impedendo che l'HDP raggiungesse la soglia del 10% consegnando così all'AKP il numero di seggi necessari per procedere con l'operazione; fallita questa ipotesi, la seconda nell'ottenimento dei voti dell'HDP per promuovere un nuovo testo costituzionale (il numero di seggi complessivi dei due partiti non permetterebbe l'approvazione diretta ma solo la possibilità di indire un referendum su un testo approvato a maggioranza semplice). Questa ipotesi però è stata seccamente accantonata da parte dal leader dell'HDP Demirtaş [11].

Qualsiasi discussione sulla questione curda viene al momento tuttavia subordinata al governo che si andrà a formare nelle prossime ore. Allo stato attuale sembrano profilarsi tre scenari.

Un primo scenario è quello relativo alla formazione di una grande coalizione tra CHP e AKP. Il Partito Repubblicano aveva inizialmente escluso ogni possibile coalizione [12]; alcuni giorni dopo le elezioni l'ex Segretario del CHP ha avuto un incontro prolungato con il Presidente Erdoğan riaprendo la partita ed alimentando speculazioni sulla possibilità che si potesse giungere ad una soluzione di questo tipo [13]. La risposta di Kemal Kılıçdaroğlu è stata però quella di offrire la poltrona di Primo Ministro al leader dell'MHP Devlet Bahçeli in un'ipotetica coalizione tra i due partiti. A questa possibilità però il leader nazionalista ha risposto con un secco rifiuto motivato negando la legittimità di qualsiasi governo che non comprendesse il partito di maggioranza relativa (l'AKP). Sgombrato il campo da una tale possibilità l'ipotesi di grande coalizione, ancorché ridimensionata, non appare del tutto archiviata. Questo scenario potrebbe avere dei risvolti positivi per la popolazione curda in quanto permetterebbe la formazione di un governo non del tutto ostile al dialogo, in grado anzi di isolare i principali oppositori delle rivendicazioni curde, ovvero i nazionalisti dell'MHP. Proprio per rafforzare una tale possibilità Demirtaş si è detto disponibile a fornire un appoggio esterno ad un governo così formato [14], incrementando le possibilità di incidere sulle dinamiche parlamentari senza compromettersi entrando direttamente a far parte dell'esecutivo.

Un secondo scenario è quello di una coalizione tra l'MHP e l'AKP. Una tale coalizione permetterebbe al partito del Primo Ministro Ahmet Davutoğlu di assicurare la propria posizione senza alienarsi l'appoggio dei propri supporter più oltranzisti, che difficilmente digerirebbero una coalizione con gli storici rivali del CHP. Per il partito di Bahçeli invece significherebbe il ritorno nelle stanze del potere dopo tredici anni di opposizione (era stato al governo tra il 1999 e il 2002 assieme a DSP e ANAP, entrambi scioltisi) e la riconquista di un peso politico che era andato affievolendosi negli ultimi anni. Come deducibile da quanto detto precedentemente, gli 80 deputati nazionalisti sarebbero sufficienti per indire un referendum sulla Costituzione, anche se non per cambiarla direttamente, lasciando la possibilità all'AKP di coronare il proprio obiettivo. Attualmente Bahçeli ha posto come condizione che l'AKP faccia pulizia al proprio interno permettendo che alcuni suoi ex Ministri, coinvolti in scandali di corruzione, rispondano delle loro azioni. Nel gennaio dell'anno scorso infatti il Parlamento ha negato l'autorizzazione a procedere nei confronti degli imputati bloccando di fatto l' iter giudiziario. Erdoğan, allora Primo Ministro, riteneva lo scandalo che ha visto coinvolti importanti membri dell'AKP come una macchinazione organizzata dai membri del movimento Hizmet, facente capo a Fetullah Gülen, per sovvertire l'ordine democratico e rovesciare il governo turco. Il movimento dei seguaci del predicatore islamico è stato accusato di aver istituito uno " tato parallelo" in grado di penetrare i gangli dello Stato, in particolare magistratura e forze dell'ordine. Sfruttando l'accesso a tali posizioni cardine il movimento avrebbe agito con il fine di alterare e sabotare l'ordine democratico tentando così di attuare un vero e proprio colpo di Stato, ancorché non attraverso mezzi militari. Il prezzo chiesto dai nazionalisti, quindi, è sicuramente molto alto e difficilmente l'AKP sarà disposto a pagarlo. Si tratta infatti di rinnegare il proprio appoggio a coloro che, almeno nella narrativa dell'AKP, sono stati vittima delle macchinazioni dei seguaci di Gülen. Ciononostante, con il passare dei giorni le posizioni potrebbero ammorbidirsi e il pragmatismo politico potrebbe prevalere sulle questioni di principio aumentando le possibilità che si vada a formare un governo di questo tipo. Per quel che riguarda la questione curda, i nazionalisti di Bahçeli sono storicamente restii a fare concessioni alle minoranze etniche e difficilmente saranno disposti a mutare la propria posizione. Con questo scenario il processo di pace potrebbe naufragare definitivamente spostando la posizione dell'AKP verso un conservatorismo sempre più spiccato, che potrebbe tradursi in un inasprimento del conflitto.

L'ultimo scenario, infine, è quello riguardante un possibile ritorno al voto. Qualora infatti non si riuscisse a formare un governo entro 45 giorni dall'insediamento del Parlamento (23 giugno) la Costituzione offre al Presidente la facoltà di sciogliere l'Assemblea Nazionale e di indire nuove elezioni. La tattica dell'AKP potrebbe essere quella di far naufragare qualsiasi ipotesi di coalizione per poi tornare alle urne presentandosi come l'unica scelta in grado di dare un governo stabile al Paese, cercando in questo modo di recuperare i voti che erano traghettati verso altre sponde. In questa eventualità la leadership in ascesa di Demirtaş potrebbe ricevere un'ulteriore accelerata rendendolo, complice lo scarso carisma del suo omologo del CHP Kılıçdaroğlu, la figura di riferimento per le forze di opposizione. In questo contesto la questione curda potrebbe continuare ad essere un fondamentale terreno di confronto dato che proprio le scelte della popolazione curda - la fiducia all'HDP o il ritorno di consenso verso l'AKP - appaiono essere come l'ago della bilancia per le nuove consultazioni.

Qualsiasi scenario si concretizzi, la questione curda e le sue ripercussioni elettorali hanno rappresentato e rappresentano un punto nodale della politica turca. Gli attuali esiti elettorali potrebbero condurre ad affrontare in maniera più decisa il problema cercando una risoluzione al conflitto, oppure potrebbero determinare un affossamento di tutti i tentativi compiuti sino ad oggi per risolvere la questione. Il prossimo governo, che nasca o meno da nuove elezioni, avrà il compito di dare una sferzata alla questione senza più possibilità di rimandare. Comunque vadano le cose, infatti, il risultato ottenuto da HDP ha avuto il merito di porre la questione con tutta la sua forza e di spingere i partiti a prendere una posizione netta senza rimandare ulteriormente la ricerca di una risoluzione del problema. Determinante, non di meno, potrebbe essere il posizionamento del CHP. Il Partito Repubblicano sinora si è sempre mantenuto ai margini della questione senza abbracciare le rivendicazioni dei curdi, come fatto dall'HDP, né apertamente rigettarle, come fatto dell'MHP. La scelta che dovrà essere compiuta da Kılıçdaroğlu e dal suo partito sarà decisiva nel risoluzione del conflitto oppure verso un suo deterioramento. La partita è aperta, il risultato aprirà un nuovo capitolo dell'annosa questione che riguarda la minoranza curda all'interno del Paese.

* Filippo Urbinati è OPI Contributor

[1] Morton Abramowitz, , in Barkey, Henry J. e Fuller, Graham E. "Turkey's Kurdish Question", Carnegie Commission on Preventing Deadly Conflict Series, Boston 1998;

[2] Sibel Hürtas, Turkey's election system becomes graveyard for political parties, in "Al Monitor", 14 maggio 2015;

[3] Fuat Keyman, HDP's election bet: a calculated risk or Kurdish roulette?, in "Al Monitor", 4 febbraio 2015;

[4] Turkish general election 2015, in "Hürriyet Daily News", 8 giugno 2015;

[5] HDP announces election manifesto, in "ANF News" 21 aprile 2015;

[6] Fehim Taştekin, Turkey's minorities join race for parliament, in "Al Monitor", 10 aprile 2015;

[7] HDP's election manifesto favors self-determination and concept of common homeland, in "Today's Zaman", 21 aprile 2015;

[8] Baki Gül, BDP for an autonomous Kurdistan, HDP for a democratic Turkey,in "Kurdish Question";

[9] Cafer Solgun, The AKP's election manifesto is like a joke, in "Today's Zaman", 16 aprile 2015;

[10] Turkey and the PKK: Saving the Peace Process, in "International Crisis Group", Europe Report n. 234, 6 novembre 2014;

[11] Kemal Kirisci e Melis Cengiz, The Kurds will Decide Turkey's Fate, in "The National Interest", 1 aprile 2015;

[12] An AKP-CHP coalition is out of the question, in "Hürriyet Daily News", 14 aprile 2015;

[13] Özgür Korkmaz, The unexpected (and unnecessary) resurrection of Deniz Baykal, in "Hürriyet Daily News", 18 giugno 2015;

[14] HDP ready to lend support to "grand coalition" between AKP, CHP, in "Hürriyet Daily News", 18 giugno 2015.


Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :