Babacan ha preso spunto dagli ultimi dati - sorprendentemente confortanti - sull'andamento del Pil in Turchia: che ha fatto registrare un + 2,9% nel primo e un + 4,4% nel secondo trimestre, tanto da rendere ancora praticabile il target del + 4% su base annuale fissato dal governo dopo il + 2,2 del 2012; ma non si è dichiarato del tutto soddisfatto: perché "oltre al livello della crescita e alla qualità della crescita che bisogna guardare". La buona performance tra aprile e giugno, infatti, è stata determinata essenzialmente da consumo interno (oltre che da un lieve aumento della spesa pubblica): il traino delle esportazioni, scelta strategica dell'Akp, non si è invece manifestato più di tanto. Per Babacan, la Turchia deve diventare capace di crescere a ritmi sostenibili, inferiori all'8-9% del biennio 2010-2011 ma prolungati: e del resto "finanziare la crescita sostenibile" è stato il tema principale del summit; crescita che abbia sostenibilità "finanziaria, sociale e ambientale".
Il presupposto è di disarmante banalità: "prima produrre ricchezza e poi spenderla, altrimenti il prezzo verrà pagato dalle giovani generazioni"; e il vice premier, già ministro dell'economia e poi degli esteri, ha allora vantato le riforme strutturali, la disciplina fiscale, la bassa tassazione (27% del Pil), i progetti infrastrutturali finanziati dai privati, una migliore distribuzione del reddito e la lotta alla povertà del suo governo. Ma ha anche sottolineato l'importanza di nuove riforme: mercato del lavoro più flessibile, giustizia più prevedibile e veloce, investimenti nelle energie rinnovabili per diminuire le importazioni e allentare le pressioni sulla bilancia dei pagamenti, soprattutto migliore qualità del sistema scolastico che oggi vede la Turchia agli ultimi posti tra i paesi dell'Oecd. Senza queste riforme, "l'obiettivo di passare da 10.000 a 25.000 $ di reddito pro capite entro il 2023 rimarrà un sogno".
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