La giornata inizia con uno spiraglio di sole. La temperatura pare salita di qualche grado. Ottimista come al solito, lascio a casa l’ombrello e il berretto e mi fiondo a Tate Britain a vedere il nuovo blockbuster della stagione, Picasso and Modern British Art. E questa mostra mi intriga in partciolare perchè esplora come arte e le idée politiche dello spagnolo siano siano state recepite in questa conservativa isola, e di come artisti britannici come Duncan Grant, Wyndham Lewis, Ben Nicholson, Henry Moore, Francis Bacon, Graham Sutherland e David Hockney (insomma, le colonne dell'arte britannica...) abbiano reagito all'uragano Picasso.
Ma sebbene non sia una sua sfegatata ammiratrice, che ci sono artisti che preferisco, mi pare che una mostra che espone gli uni accanto agli altri, Picasso e questi monumenti dell’arte Britannica non sia leale. Per l'arte britannica, dico. Ed è un peccato perchè mi piace parecchio Henry Moore
Pablo Picasso, The Source, 1921. Moderna Museet, Stockholm
e posso vedere l'effetto che il monumentalismo di Picasso ha avuto su di lui...
Henry Moore's Reclining Figure, 1936. Henry Moore Foundation
... adoro Francis Bacon (anche se lo trovo profondamente inquietante e dopo devo correre a farmi una dose di sentimentalismo vittoriano o di grassocci putti rinascimentali per riprendermi dall’ansia…), ma davvero non vedo il nesso con Picasso. E se Bacon ne esce male, figuriamoci un ‘decoratore d’interni’ come Duncan Grant (le cui opere vedrei bene in vendita da Habitat o, in altrenativa in mostra nel salotto di casa mia). Esco dalla mostra soddisfatta (un sacco di quadri bellli, da ambo le parti) ma turbata dalla scoperta che di fianco a Picasso questi giganti dell’arte Britannica sembrano statuine del presepe.
Dall’altra parte di Tate c’è un’altra mostra che si chiama Migrations e questa mi pare pìu consona alle mie… ahem, aspettative artistiche conservatrici e che racconta di come, a partire dal Cinquecento in poi, artisti e idée provenienti dall’Europa abbiano influenzato in modo continuo e cosistente l’arte Britannica: dagli Ugonotti francesi che hanno attraversato la Manica per sfuggire alle persecuzioni protestanti, al nostro Canaletto, trasferitosi in Inghilterra inseguendo i signorotti del Gran Tour (visto che il Gran Tour non si faceva pìu a causa delle guerre), all'arte di coloro che hanno abbandonato l’Europa per sfuggire a persecuzioni politiche, religiose o al Nazismo.
James Tissot, Portsmouth Dockyard c.1877. Tate
Ci sono un sacco di quadri belli, ma anche una sacco di brutture, e dopo l'adrenalinico confronto con Van Dyck, Whistler, Singer Sergeant e Mondrian, c’è l'antitesi di una fontana da cui escono bolle di sapone (affascinate nella sua inutile bruttezza) e quattro sale piene di multiple video-installazioni come questa di Zineb Sedira che tanto per stare allegri si chiama Bare galleggianti...
Zineb Sedira, Floating Coffins (2009)
Cos'è 'sta cosa che nessuna mostra al giorno d’oggi si può dire completa senza qualche ‘installazione’ contemporanea?
Per tirarmi su di morale, vado a cercare i Pre-raffaelliti e trovo le sale alterate da un nuovo allestimento organizzato in "ampio ordine cronologico" (come dice orgogliosamente un cartello) che ha relegato cinque secoli di storia della pittura inglese in una sala, per dare pìu spazio alle nuove promesse dell'arte contemporanea. È davvero troppo.
Abbandono Tate Britain delusa da quella che mi sembra un’occasione perduta. Per l’arte Britannica dico. Chiaramente piove a dirotto. Ed io non ho l'ombrello.