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"Turner. O dei mugugni premonitori di un genio riluttante" (I)

Creato il 28 marzo 2015 da Veripaccheri

A lato di un terrapieno, oltre il quale s'indovina la presenza del mare, contadine con tanto di cuffie di merletto ad alette laterali in testa, ciarlano allegre. Sul dosso ricoperto d'erba - in ombra - stagliata sull'orizzonte di un tramonto pervinca, un'arrotondata silhouette aviforme in cilindro e stiffelius sbircia lo spazio aperto, tenendo in una mano quello che potrebbe essere un taccuino e, nell'altra, un ipotetico oggetto per scrivere/disegnare: e' la prima sequenza di "Turner" di Mike Leigh, ed e' già sufficiente a descrivere con ragionevole accuratezza i contorni
di un mondo psicologico, prima ancora che fisico; un mondo intimo di costituzione insofferente e inappagato - sempre, cioè, teso verso qualcosa la cui ricerca (Turner viaggerà, praticamente, tutta la vita) e' allo stesso tempo inderogabile e (forse) inattingibile - nonché, con tempo e metodo, fattosi persuaso di essere stato chiamato ad esprimersi e a danzare sull'orlo variopinto, insidioso e difficilmente decifrabile, del cratere di un vulcano che rimesta al suo interno le fattezze di una nuova era.

Collaboratore della Royal Academy sin dall'adolescenza (poi membro effettivo a partire dagli inizi del XIX secolo),
Joseph Mallord William Turner - per i pochi che possono concederselo, come ci mostra Leigh, "Billy" o "Sig. Billy"; per tutti gli altri, "Sig. Turner" (che del film e' il titolo originale) - precoce esecutore di acquerelli, conoscitore ammirato di artisti come Lorrain, indagatore scrupoloso di argomenti fondanti la Pittura - la Teoria del Colore (Turner studio' e approfondì anche quella di Goethe: "Azzurro, azzurro-rossastro, rosso-bluastro depongono a uno stato d'inquietudine, di tenerezza e nostalgia"); la prospettiva (di cui tenne la cattedra all'Academy dal 1807 al 1837) - comincia a mugugnare le sue perplessità già intorno alla boa dei trent'anni, allorquando s'indirizza con decisione verso un'idea di Pittura che (sempre e comunque ben ancorata al disegno, strumento inesauribile e fondamento di un contatto col mondo il più possibile scevro da mediazioni), al di la' e indipendentemente dai temi trattati e dalle soluzioni formali e tecniche impiegate, pone al centro, ridiscutendola
dai suoi stessi presupposti, la necessita' di una più radicale disciplina della visione, all'interno della quale spazio e, soprattutto, luce - aloni, riverberi, riflessi, chiaroscuri, velature, rifrazioni, penombre, barlumi - ridisegnano il campo (e le possibilità) dell'esperienza sensoriale, al fine di recuperare quello che si potrebbe definire un primitivo incanto - una rivelazione (quindi la meraviglia) - in gran parte precluso da una consuetudine che andava dibattendosi, e da qualche decade ormai, sul piano sociale, fra le angustie di un torpido avvitarsi delle dinamiche tra i ceti e degli atteggiamenti esteriori (l'austero imporsi della lunga "Victorian Age" in Inghilterra segna, nello specifico, da un lato, l'apogeo della potenza imperiale britannica, il periodo di più duratura stabilita' interna e prestigio internazionale di questo paese; dall'altro, il trionfo dell'omolagazione perbenista, del decoro, del ritegno, della continenza, della repressione intellettuale e sessuale, ciascuna sfumatura elevata a norma di condotta individuale) che, a conti fatti, nemmeno l'89 era riuscito a raschiare in profondità e che, il mondo a venire, avrebbe semplicemente reso definitivo una volta per tutte; su quello artistico, fra le estenuazioni dello stile, fin troppo ricco e variegato, e una qual rigidità compositiva, figlia spesso di una ispirazione via via più sterile o, forse, più semplicemente, bisognosa di rifiatare.

Ed e' proprio sulla linea d'attrito di questo progetto in avanzato stato di realizzazione (qui succintamente rievocato), che Leigh isola e abbraccia Turner, uomo oramai adulto, un po' mastoc, tanto taciturno e scostante, quanto concentrato e determinato nel riflettere sulle ragioni pratiche e spirituali di una Pittura (la sua) che da un bel po' ha abbandonato le sedentarietà (e le rendite di posizione - si fa per dire: mano mano che il lavoro si apre ad un respiro più vasto ed inedito, i quadri non vengono più esposti o sono relegati ai corridoi laterali dell'augusto edificio patrocinato dalla stessa Corona, tanto da risolvere il Nostro ad allestire e curare una galleria personale -) dell'Accademia
(la scena in cui Turner irrompe a passi frenetici entro gli austeri saloni della Royal Academy e, ridacchiando e strizzando gli occhi senza posa, bofonchia ai colleghi intenti a rifinire le proprie opere suggerimenti "per infondere un po' di vita" nelle tele, vale quasi da sola l'intero film), e si e' avviata alla scoperta di paesaggi totali ineffabili e vivissimi - "Ancora una marina, sig. Turner ?", lo interrogano o si accodano al coro, sarcasticamente, cattedratici, curiosi, potenziali acquirenti, notabili, sedicenti esperti e perplessi pari (tipo Constable o Stubbs) per i quali il londinese, pur riconosciuto, e' per l'appunto poco più di un pittore-di-marine o un vedutista - in cui profondità, spessori di colore, volumi, vuoti, armoniche discrasie, apparenti crudezze, riviste attraverso un occhio che isola la luce ora come vaporosa, oppiacea impalpabilità, ora come grumo abrasivo, squarcio prepotente o scabrosa evidenza, insistono a collegare le fibre di un organismo/discorso artistico in cui il sovrapporsi caotico di tonalità, tratti pieni o interrotti e poi ripresi, punti di espansione e sospensione rappresa agita, al tempo, la manifestazione più palese della molteplicità di un mondo inteso come metabolismo senziente e in continua metamorfosi
(o, come dice il celebre brano: The sense of time/were eroded by/the river of constant change), e una delle chiavi possibili per accedere alla trama segreta delle cose, a quella bellezza elusiva e insensata che di quel mondo e' l'enigma più bizzarro e inquietante, in modo da arrivare, per una volta, a decorare degnamente la Morte, rubandole, di quel tanto, la scena ("Though lovers be lost love shall not/And Death shall have no dominion" - D.Thomas -): "L'acqua la insegna la sete/La terra - gli Oceani trascorsi -/Lo slancio - l'angoscia -/La pace - la raccontano le battaglie -/L'amore, i tumuli della memoria/Gli uccelli, la neve" - E.Dickinson. Respiro analogo, del resto, che ritma l'avvicinamento a quell'altro mistero che e' il corpo: Turner/Spall, a ridosso della scomparsa del padre William, "barbiere rifinito e creatore di parrucche", oltreché suo personale canvas stretcher - raro esempio (ad eccezione della Sig.ra Sophia Caroline Booth con la quale trascorrerà more uxorio gli anni tardi) di essere umano da William jr. di slancio e senza incertezze amato, a fronte di una famiglia acquisita così invadente come, nella pratica, estranea e di malanimo tollerata - s'intrattiene, secondo una consuetudine che, annota anche Leigh, non esclude nemmeno Hannah,
la damigella/sguattera scrofolosa, con una prostituta poco più che adolescente dai lunghi capelli neri, il viso allungato e gli occhi difficile dire quanto più lontani o inerti e, dopo averla invitata a spogliarsi, ad interrompere il denudamento e ad assumere un certo numero di posizioni, si lascia sopraffare da una disperazione velata di disgusto, nella forma di un urlo lungo, roco, sguaiato, che assomma in se' l'irrimediabile recente perdita e l'avvilimento disarmato per il deperirsi mesto e laido delle cose, tra cui, vittima prediletta, la magia fragile della giovinezza. Respiro, allora, che prende a farsi persino stento, al momento di doversi rassegnare alla tristezza circa la vulnerabilità di quelle - e sono tante - che si rivelano, in fondo, stabilita' illusorie, in soccorso delle quali giunge proprio - rendendone tollerabile lo svanire e, in parte, rallentandolo (come, a pensarci, con lucida perfidia, rimarca anche Kubrick in "Barry Lyndon" - 1975 - al punto di riuscire a mostrare, quasi in fieri, la magnificenza chiusa in se stessa dei rituali dell'ancien regime e il suo sbriciolarsi
minuto-per-minuto alla luce declinante, quella naturale secreta, guarda un po', da certa altra pittura - Gainsborough, Watteau, Hogarth - di una Ragione - il Settecento, l'Illuminismo - che più proclama il suo primato, più si smarrisce nelle spirali cieche di un reale allergico alle spiegazioni e all'ordine, perfettamente evocato, nel suo corrispettivo carnale, dallo splendore imperturbabile della malia transitoria dell'ovale di Marisa Berenson) - il gesto artistico che le ritrae, le mette-in-posa, ossia le vede perire un istante via l'altro (desiderando che ciò accada, ovviamente), consegnandole, così, alla fucina del ricordo, con tutto ciò che di sentimentale e razionale tale processo implica, e preferibilmente in guisa di una coreografica stanchezza o di un distacco finto meditabondo (la sequenza e' chiusa da Leigh a suggello della vera prestazione ormai consumata, con la prostituta che comincia a liberarsi del corpetto).

Siffatto cammino intellettuale che e', insieme, a ben vedere, indagine filosofica e sguardo morale - maturato, ricordiamolo, al di la' delle comode elucubrazioni circa le qualità intrinseche al genio, attraverso un severo magistero interiore ben saldo ad una quotidiana applicazione fatta di innumerevoli taccuini stipati di soggetti (ad esempio, le nuvole) replicati con variazioni minime d'intensità, di angolazione, durante vari momenti del giorno, nonché di peregrinazioni reiterate nei luoghi dove le epifanie decisive
per attingere l'essenza capricciosa dei fenomeni (composto elusivo in foggia di amalgama di luce, scampoli di materia, raziocinio e intuizione) sembrano sempre a portata di mano (la Scozia, la Svizzera, Petworth - Sussex occidentale - il Reno, Dieppe, Rouen, l'Italia, ancora e fino alla fine Petworth) - e che risulta, nel concreto, già tracciato e coerente nella serie di studi ed opere ad acquerello i cui depositi cromatici in stratificazioni latitudinali più o meno rarefatte (germinano e si ibridano, in tali tentativi, l'ocra, il cromo, l'écru, la biacca, il sabbia calcarea, il malva, l'arancio, l'avorio, il rosso, il rosa antico, il blu oltremare, il nero, assortite misture di bruni...)
ma sempre partecipi di una sorta di organizzata, laboriosa entropia vincolata all'evoluzione dei processi naturali di cui la raffigurazione pittorica e' traccia registrata in un isolato intervallo dello spazio e del tempo, arriva ad emettere risonanze la cui ampiezza e' tale da essere udita quantomeno fino a Rothko (e parliamo di quasi un secolo e mezzo dopo), passando per l'Impressionismo, prima, l'Espressionismo astratto e l'Astrattismo vero e proprio, dopo. Lavori nervosamente fluidi, questi,
(l'elenco e', per forza di cose, incompleto), assemblati nell'arco approssimativo di un quarto di secolo, come "Veduta verso est della Giudecca: primo mattino (?)", (1819); "Struttura cromatica", (1819); "Tramonto fra nubi scure", (1826); "Nave in fiamme (?)", (1826-30); "Studio di edifici su un lago o un fiume", (1834); "Navi in mare", (1835-40); "Tramonto", (1840); "Il Rigi all'alba visto da Lucerna", (1841-43); "Alba con mostri marini", (1845), che dialogano fitto con l'eventualità di una stilizzazione definitiva rintracciabile affine, per dire, già in certe intuizioni rembrandtiane - "Hendrickje dormiente", (1645  ca.) - ed estensibile, in ragione della medesima ipotesi, ai celebri untitled numerati di Rothko - fine anni '40/fine anni '60 - e, continuando a muoverci avanti e indietro nei secoli, alle elegantissime strutture sottese alle immagini del mondo fluttuante (1830 ca.),
come ai contorni essenziali di "Miya" per le cinquantatré stazioni di Posta del Tokaido - 1850 ca. -, ambedue di Hiroshige, per arrivare ai disincarnati paesaggi interiori dell'ultimo Morandi, a ribadire, per un verso e in un senso più immediato e suggestivamente aneddotico, la tendenza delle cosiddette fughe in avanti proprie degli itinerari artistici più intransigenti, ad ordire una labile eppure continua tessitura comune a riparo dalle differenze dei contesti storici, sociali e culturali in cui i singoli autori si sono trovati ad operare; per l'altro e appena più in profondità, la persistenza, nel gesto di una Pittura - nel caso, europea, d'oltreoceano e nipponica ma le alternative, gl'incontri possibili, sono molteplici e interessanti, non foss'altro per le riflessioni ad-ampio-raggio che stimolano - di un'intenzione al tempo sensuale e marziale; quanto più ricondotta ai suoi rudimenti costitutivi, tanto più sfuggente: in apparenza esplicita, come pacificata, in realtà ambigua, sottilmente allusiva.

TFK
- parte prima -

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