Tra i punti principali della Riforma del lavoro, il jobs act per intenderci, c’è quello sulla revisione degli ammortizzatori sociali. Ancora non ne conosciamo i dettagli, attendiamo per questo l’azione del governo, che ha incassato qualche giorno fa la fiducia al Senato tra le polemiche delle opposizioni e il plauso dell’Europa.
Per adesso possiamo solo valutarne le intenzioni sulla base di ciò che è contenuto nel ddl e su quanto espresso dagli esponenti dell’esecutivo. Nel testo della delega leggiamo che sostanzialmente ci sarà la rimodulazione dell’Aspi (l’attuale strumento di sussidio di disoccupazione, introdotto dalla riforma Fornero), con una omogeneizzazione tra i trattamenti brevi e i trattamenti ordinari e si rapporterà la durata dei trattamenti alla pregressa storia contributiva del lavoratore. Nello specifico si intende universalizzare il campo di applicazione dell’Aspi con l’estensione ai collaboratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa. In realtà una forma di sussidio di disoccupazione esiste già per queste forme contrattuali che spesso il governo ha definito come le più precarie, si tratta di una indennità “una tantum” specifica per i collaboratori a progetto iscritti in via esclusiva alla gestione separata . Ciò che di nuovo introduce il governo è una maggiore elasticità e semplificazione dei requisiti per ottenere il sussidio, basterebbero infatti solo tre mesi di lavoro per accedervi. Se si leggono gli attuali criteri per l’ottenimento del sussidio vien da farsi una risata: bisogna aver lavorato in monocommitenza, non aver guadagnato più di ( circa) 22 mila euro l’anno, bisogna aver versato almeno tre mesi di contributi nell’anno precedente e almeno 1 mese in quello in cui si richiede il sussidio . Criteri davvero troppo stringenti e complicati. Tanto per fare un esempio se un collaboratore a progetto nel 2013 ha lavorato da aprile a dicembre, e nel 2014 fa domanda di disoccupazione, non ha diritto al sussidio perché non ha quel “mese di contributo nell’anno in corso”.
Dunque, non si sa se effettivamente il governo si sia reso conto della quasi assurdità dei criteri attualmente in atto e se abbia deciso di agire in tal senso per questo motivo, ma sta di fatto che ottenere il sussidio di disoccupazione per i collaboratori a progetto potrebbe non essere più un terno a lotto. Rispetto a queste forme contrattuali però c’è dell’altro, nelle intenzioni del governo infatti l’obiettivo è quello di farle sparire del tutto.
Ma proviamo a capire quale potrebbe essere il motivo di questa scelta. Si sta cercando di estendere le tutele anche a questi lavoratori perché in realtà c’è la presunzione che dietro queste forme contrattuali ci sia un abuso da parte del datore di lavoro, farle sparire potrebbe essere la conseguenza di questa presunzione. Ma siamo sicuri che sia la scelta giusta? Se pensiamo alla Riforma Fornero, anche allora si è andati in questa direzione, si è presunto che ci fosse un abuso e si è cercato di rendere meno attrattive per il datore di lavoro queste forme contrattuali. La conseguenza però non è stato certo un maggiore utilizzo di formule più vantaggiose per il lavoratore, si è anzi cercato il modo per risparmiare comunque, in alcuni casi molto semplicemente lasciando il lavoratore a casa. Questo perché, lo ripetiamo, c’è sempre la presunzione che ci sia qualcuno che fa il furbo e pertanto lo Stato, anziché vigilare, elimina il problema a monte. Ci sono casi, forse pochi, in cui il contratto a progetto viene applicato alla lettera e in realtà, rispettando le regole, è una formula piuttosto vantaggiosa per il lavoratore in quanto ad esempio un collaboratore a progetto non ha vincoli di orario e può svolgere il proprio lavoro nella sede che ritiene più opportuna. Certo non tutte le professioni e ruoli si adattano ad un tipo di collaborazione di questo tipo, ma è anche vero il contrario, cioè che molte mansioni sono in realtà molto più adattabili a forme di lavoro flessibili e autonome, quindi eliminarle del tutto potrebbe essere un errore e ancora una volta, uno svantaggio per il lavoratore. Intanto speriamo e suggeriamo al governo di riformare i contratti di lavoro tenendo conto della molteplicità delle situazioni lavorative perché riformare solo per “punire i furbetti” ci farebbe ricadere nello stesso e identico errore fatto dalla Fornero.
Alessia Gervasi