«Perché, che aveva mai quel bacio?». «Un sapore eterno. Di quelli che ti restano in bocca per la vita intera e poi ti seguono pure nella morte».
Dopo due anni di silenzio e una lettera che rinnova una promessa d’amore, anche Alcina, quella donna un po’ mascolina, solitaria, fedele solo ai suoi morti da tutelare come i lari della casa (e della vita) decide che a quel bacio non si può non dare ascolto. Quel bacio con cui si legò ad un uomo undici anni più giovane di lei, quel bacio che, come un’epifania proustiana, «all’improvviso le tornò su, denso e caloroso». E le cambiò la vita.
A distanza di quattordici anni da Alle case venie (Marsilio, 1997, finalista al Premio Strega 1998) Romana Petri torna a parlarci di Alcina e della sua famiglia, una donna che porta con sé molto del suo passato per affrontare il futuro. La ritroviamo esattamente dove l’abbiamo lasciata, alle Case venie, con la Jole «una contadina che non sapeva leggere né scrivere, ma di questo e dell’altro mondo era esperta come nessuno», in quella campagna umbra, semplice e sapienziale che ricorda tanto la toscana di Cassola. Ma sono passati due anni da quella resistenza partigiana che aveva visto morire suo fratello Aliseo, fucilato adolescente da una fascista dell’ultim’ora, e Spaltero, l’uomo che l’ha legata a sé con un bacio prima di partire per l’Argentina, ha mantenuto la promessa: vuole sposarla oltre oceano e iniziare una vita con lei. Ed è qui che iniziano a lottare le due Alcine, la donna solitaria il cui universo è «fatto solo di passato» e la donna innamorata che sente che è necessario trovare il coraggio e cambiare la propria vita che, altrimenti, «se ne va in malora». Sarà l’Alcina del cambiamento a vincere perché, ci dice, «alle promesse bisogna crederci». E avrà ragione. La vita in Argentina ha il sapore di una terra con le stagioni capovolte, di un matrimonio felice, di una figlia e di un uomo che la ama fin da quando era bambino, un uomo così diverso da lei, eppure così complementare. Spaltero è la forza vitale, l’affermazione volontaristica per eccellenza che gli permette di realizzare tutto quello che progetta con una naturale semplicità, perché «la vita è semplice Alcina mia, si vive o non si vive, e quando si decide che di vivere vale la pena, allora c’è di che andare fino in fondo e cercare sempre di star bene, il meglio che si può». L’uomo del “detto fatto!”, deciso, sicuro, fermo, che farà di tutto per prendersi cura della moglie, donarle una casa grande, da cui si vedeva il mare, e una figlia che doveva avere un nome eroico spagnolo che iniziasse con la B, Buenaventura, Buena, in realtà (sì, è forte l’eco delle atmosfere sudamericane di Isabel Allende, dei suoi legami matrilineari, della storia politica che irrompe nelle piccole vite dei personaggi). La vita in Argentina aveva il sapore di un amore «di quelli che non trovi più neppure nei romanzi», come diceva Toni, il cugino di Spaltero, a cui Alcina si sentirà legata sin da subito da un patto amicale quasi fraterno, taciuto, latente, ma molto chiaro alle loro anime. Toni è uno scrittore che scrive libri tristi, ma veri, in cui descrive quella realtà in cui non c’è posto per gli amori veri ed eterni. Lui stesso è un uomo che si innamora nel modo sbagliato, sposerà una donna che non ama e che non stima, una donna ricca e opportunista che lo lascerà per un giovane marinaio. In quella casa Argentina, istantanea color seppia di legami antichi e amori sinceri, Toni insinua il malinconico disfarsi dei legami moderni, della mancanza di sogni, delle promesse mancate. Quella modernità per cui un amore come quello di Alcina e Spaltero è ormai roba da romanzi. Proprio il lato oscuro ma sensibile di Toni sarà il legame con quell’Alcina del passato, vinta, ma mai abbandonata, la donna misterica e misteriosa che parla con i morti, che ha bisogno di tenere in vita per non perdere la sua identità.
Ma il tempo del romanzo che sino ad ora si è nutrito del non-tempo dei sentimenti è bruscamente interrotto e accelerato dalla realtà della storia e, come aveva fatto in precedenza con la resistenza partigiana, Romana Petri ci getta, in medias res, nelle violenze e nelle torture della Guerra sporca argentina, il periodo delle atrocità della dittatura militare capeggiata da Videla dal 1976 al 1983. Buena è diventata una studentessa universitaria, comunista, cresciuta con le idee dello zio Toni e con il sangue partigiano dei genitori. La maternità ha reso Alcina protettiva, le sue parole si sono egoisticamente ‘imborghesite’ di affetto, ma i suoi tentativi di distogliere Buena dalla lotta clandestina al regime saranno vane. Buena è sua figlia, non poteva non essere un’idealista, combattiva e passionale. Vivrà la sua catabasi negli inferi delle torture militari, ma sarà una nemesi, esattamente come lo era stata per la madre, a cui la guerra partigiana lasciò un bacio e una promessa.
Strano, come Romana Petri voglia essere trasgressiva raccontando di un amore d’altri tempi. Certo, perché «in un’epoca di sentimenti sfilacciati, esili e precari» la sfida letteraria era proprio quella di parlare «di un rapporto cui il tempo, anziché sottrarre, aggiunge», un amore tanto eterno quanto antico. Sarà forse soltanto agli occhi dei lettori più attenti, ma questa parola così delicata, elegante e sonoramente evocatrice di un’eticità profonda affiora nel racconto solo apparentemente accanto a piccoli dettagli, come a ricreare in noi la sapienzialità di qualcosa di molto forte che sottende alla realtà. Alcina è una donna «parecchio antica», il segno della croce che si fa quando è incinta è un «gesto tanto antico», il sentimento della morte che aspetta Toni al risveglio è «una cosa antica», ma soprattutto l’amore di Spaltero per Alcina è un «antico sogno» sulla cui ineffabilità si chiude il romanzo.
Un romanzo corale e una scrittura che segue il ritmo dei sentimenti, che sa accelerare al battito di un amore sognato, che sa analizzare le profondità dell’animo umano permettendo a ognuno di noi di ritrovare una parte di sé, una parola che sa farsi violenza, senza troppi preavvisi, proprio come vuole la realtà. Una storia che insegna ad avere coraggio, a credere nella vita, a lottare per i propri ideali. Tutto con la semplicità della determinazione. Valori antichi? No, solo il vademecum della trasgressione come fedeltà a sé stessi.
Silvia Morgani
Scritto da Redazione il set 1 2011. Registrato sotto FAHRENHEIT 451, RUBRICHE, TAXI DRIVERS CONSIGLIA. Puoi seguire la discussione attraverso RSS 2.0. Puoi lasciare un commento o seguire la discussione