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Tutte le Rossella Urru del mondo: breve storia degli operatori umanitari uccisi o rapiti
Creato il 20 luglio 2012 da Paopasc @questdecisioneI dati.
Ebbene, secondo quest'ultima banca dati, dal 2011 ad oggi vi sono state 384 vittime, di cui 109 uccise, 143 ferite e 132 rapite. Di questi operatori si sa che 181 sono uomini e 20 sono donne, ma di altri 182 non si conosce il genere (e, presumibilmente, nemmeno il nome) [Humanitarian Outcomes (2011-2012), Aid Worker Security Database, https://aidworkersecurity.org/] . I dati sono disponibili in questa pagina selezionando l'intervallo di date che si vuole.
Una lista del 2010 compilata da Charity, probabilmente sottostimata, riporta 35 operatori rapiti e 38 uccisi. La probabile incompletezza della lista è compensata da un collegamento all'articolo di giornale dal quale hanno tratto la notizia [Charity and Security network, Index of Aid Workers Killed or Abducted Around the World in 2010, 14 ottobre 2010].
La mappa delle missioni.
Infine, un'interessante mappa con tutte le operazioni umanitarie in giro per il mondo nel 2011: sono più di 40. L'ha preparata il Center on International Cooperation.
Nonostante nel tempo si siano intensificate tutte le misure di prevenzione e sicurezza per garantire la salvaguardia di operatori umanitari governativi e non-governativi, questo lavoro rimane uno dei più rischiosi in assoluto. Il fatto stesso, come suggeriscono molti rapporti, di lavorare fianco a fianco con le missioni militari , anche se di pace, finisce sia per coinvolgerli negli attacchi destinati alle forze armate sia nell'identificarli comunque con forze di occupazione. E' dunque con un occhio speciale che bisogna osservare questi coraggiosi, anche se in molti potrebbe farsi strada l'idea di interrompere queste missioni umanitarie che mettono a repentaglio la vita degli operatori, quella dei loro familiari e, in ultimo, anche quella di chi deve salvarli nonchè le casse pubbliche. Su questo tema il discorso è ovviamente delicato e finisce per unirsi ai recenti fatti dei marinai italiani detenuti in India con l'accusa di omicidio. In queste regioni, infatti, si trovano entrambi i fattori di degrado: sottosviluppo economico e culturale e presenza di feroci conflitti armati. Conseguenza di questo stato di cose, oltre la presenza di sacche di povertà estrema e di episodi di grande violenza, sono anche i fenomeni di pirateria per ovviare ai quali sulle navi mercantili sono presenti forze militari.Pur comprendendo che la maggior parte di queste popolazioni versa in uno stato di prostrazione e indigenza che necessita dell'aiuto esterno ed è vittima e non autrice delle violenze, l'intento umanitario finisce spesso per causare vittime in chi questo aiuto lo porta. L'osservazione fatalistica che tutto questo è una conseguenza del vivere stesso non è sufficiente, a mio vedere. Ma le soluzioni per eliminare il rischio degli operatori umanitari non sono facili da trovare. Probabilmente un buon metodo è procedere per successive diminuzioni del pericolo, attraverso strategie dettate dall'esperienza sul campo e nei campi affini. Comunque ritengo che una crescita culturale delle popolazioni aiutate possa contribuire a diminuire ulteriormente il rischio di chi porta aiuto, e insieme quello dei conflitti.
imagecredittiziano.caviglia.namewww.cic.nyu.edu
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