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Tutti abbiamo bisogno di un po’ di luce

Creato il 07 febbraio 2011 da Cultura Salentina

“We All Need Some Light”

Tutti abbiamo bisogno di un po’ di luce

Mimmo Anteri: Geometrie esistenziali (acrilico su tavola cm 90x90)

Non riusciva a capire il perché di quella insopprimibile agitazione. Continuava a voltarsi e rivoltarsi nel letto, senza trovare la posizione giusta, sebbene già alle undici gli si fossero chiusi gli occhi dal sonno. Era la terza notte di seguito che non gli riusciva di riposare sereno.

Aveva prosciugato il frigo, credendo ingenuamente che gli bastasse inumidire le fauci per prender sonno. Niente da fare: tutto inutile!

Decise di fumare l’ennesima sigaretta sulla veranda affacciata sulla splendida spiaggia di Otranto. La scia di fumo saliva muovendosi sinuosa come una danzatrice del ventre. Saliva lenta. Lui la seguiva con lo sguardo, immerso in mille pensieri. Pensieri vuoti, che però gli si affollavano caotici nella mente come le auto al centro nelle ore di punta.

Calma apparente, piatta, come il mare che aveva di fronte. Il mare è sempre una sorpresa. Come la mente umana, come gli stati d’animo, che mutano continuamente. Quello che non mutava, invece, era il suo stato d’agitazione, un misto di rabbia, d’ansia e d’angoscia, che gli si erano rovesciate addosso all’improvviso, senza un motivo, senza una ragione.

Spense il mozzicone e se ne tornò a letto. Cazzo, niente da fare, tutto come prima. Guardò l’orologio: le tre, l’ultima delle ore piccole. Il silenzio era assordante. Pensò di romperlo ascoltando un po’ di musica. Adorava il rock: gruppi preferiti i Marillion e i Transatlantic. Decise di metter su i primi: Ocean cloud, uno dei pezzi che gradiva di più. Quell’inizio in sordina, il fruscio dolce delle onde sulla sabbia, il richiamo lontano dei gabbiani e il basso di Pete Trewawas a simulare il battito cardiaco di un uomo innamorato.

Lui non lo era più; forse, non lo era mai stato, innamorato. Soleva ripetersi, anzi, che l’amore è la marijuana dei singoli, allo stesso modo di come, la religione, l’oppio dei popoli. Il cinismo è una forma di difesa (l’unica, forse) contro la disperazione. Quella notte, forse, non era riuscito a farne il pieno e continuava a sentirsi agitato, insofferente, sofferente. Avvertì il bisogno di ascoltare un pezzo più melodico. Pensò dapprima a Bridge Across Forever, ma lo scartò subito: troppo sdolcinato, più che mieloso, anche nei versi, nel passo in cui si parla di un ponte fatto di luce, dove gli amanti disperati corrono a incontrarsi. No, mai e poi mai; no, decisamente! Pensò allora a We All Need Some Light, nella versione live, registrata a New York. E si stupì, ascoltandolo, di non aver mai percepito la perfezione di quello strano miscuglio tra la dolcezza di un magico arpeggio di chitarra e il tono greve dell’introduzione “parlata” di Neal Morse, ma si soffermò a pensare soprattutto alle parole che danno il titolo al pezzo: “… perché ognuno di noi ha bisogno di un po’ di luce”… Già, ciascuno di noi ha bisogno d’un po’ di luce! Come Salvatore Quasimodo: “trafitto da un raggio di sole… ed è subito sera!”. E giù, poi, sempre più giù, a sprofondare nel regno delle ombre, nell’oblio.

Le quattro: finite le ore piccole, si filava dritti verso l’alba. Otranto è la città più orientale d’Italia, quella che vede per prima la luce del giorno. E decise di scendere in spiaggia ad attendere l’alba. Nell’attraversare la strada, notò alla sua destra un gruppo di cinque cani riuniti in circolo, proprio come i capannelli degli anziani in piazza, la domenica, tutti fieri di aver indossato il “vestito della festa”. E gli passò nella mente la strana idea di rivolgersi a quei quadrupedi, come a voler dir loro: “Ma andate a dormire, che è tardi!”. E, di rimando, una sottospecie di botolo nero mezzo spelacchiato, quello che doveva essere il capo-branco, si voltò verso di lui e gli abbaiò contro un paio di volte, quasi a rispondergli: “Ma fatti i cazzi tuoi, brutto stronzo!”. Poi, se ne tornò impettito a “far cagnara” con i suoi amici, tutto fiero di aver sistemato quel rompicoglioni.

Una spiaggia deserta è il luogo migliore dove andare per non sentirsi soli: il lento sciabordio sulla sabbia è compagnia dolce e discreta. I riflessi della luna sul mare, una scia d’argento che aiuta a pensare alla bellezza della natura, della vita. Ognuno di noi ha bisogno di un po’ di luce. E l’iniziale chiarore all’orizzonte, in quel mite mattino d’inizio estate, con i contorni sfumati delle montagne d’Albania, gli provocarono un brivido che lo attraversò, gelido, da parte a parte.

Fu allora che si sentì avvolgere da un caldo abbraccio, due mani affusolate gli scivolarono dentro la camicia, accarezzandogli il torace, e le morbide labbra di una donna bellissima cominciarono a baciargli il lobo dell’orecchio, il collo, le labbra. E fu, quello, un bacio passionale, dolcissimo, sensuale, delicato, romantico. La luce rossastra del primo raggio di sole lo sorprese felice: anche per lui era giunta, finalmente, quella luce di cui aveva tanto bisogno.

Si girò a guardare la ragazza e le chiese: «Chi sei, tu? Come ti chiami?».
E lei: «Il mio nome è… Solitudine».


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