Sembra incredibile, ma molta dell’informazione istituzionale è al capezzale della Lega dopo il disastro. Ci si dice che, attenti, mica il partito è finito e si producono analisi che sembrano l’espressione di un desiderio piuttosto che un’osservazione della realtà. Certo tutto è possibile, ma francamente lo scandalo ha colpito al cuore la mitopoietica legista, il vecchio leader e molti dei suoi sodali, in un momento in cui il movimento era già in crisi: non credo proprio che Maroni abbia il carisma per tenere insieme un carroccio che con l’uscita di scena del suo fondatore e padre ignobile, rischia di trasformarsi in un catorcio.
Come sempre i partiti personali, mancano di personaggi in grado di sostituire il capo e il fatto che Bossi sia rimasto il leader assoluto per 8 anni dopo la malattia, la dice lunga sulle difficoltà di un passaggio di consegne. Ma il fatto è che la Lega fa ancora più paura al suo tramonto che non alla sua nascita: una sua scomparsa dall’arena che conta rischia di destabilizzare il precario equilibrio della politica italiana. La nascita di formazioni nuove o l’ingrossarsi di già esistenti, la crescita della cosiddetta antipolitica minacciano la grosse koalition non dichiarata, ma esistente di fatto e che si concreta ormai nel’ABC, nell’abbecedario appunto del partito padronale, di quello vaticano e di quello delle correnti e apparati che deriva dalla sinistra, anche se ormai ne è lontanissima.
Il potere si è istituzionalizzato in queste forme, gli uomini che ne fanno parte non hanno alcuna intenzione di cambiarle, i mille ponti che li legano ai restanti poteri, siano essi la finanza, la grande imprenditoria o qualcosa di più opaco, ormai si sono solidificati dentro l’architettura di un’oligarchia sostanziale che ha trovato il suo alveo naturale nel governo dei non eletti. E’ ovvio che ogni cambiamento o mutazione significativa del quadro mette a rischio gli equilibri raggiunti e l’intero edificio. Ecco perché un crollo della Lega intimorisce e si cerca in qualche modo di esorcizzarne l’eventualità.
E’ fin troppo ovvio che una protesta meno becera, meno vacuamente padana, meno xenofoba, meno cialtrona sarebbe in grado di risucchiare molti voti sia nella parte destra che in quella sinistra della grosse koalition, mascherata da governo di necessità: il problema settentrionale, sia pure in termini molto diversi da quelli rozzamente posti dalla Lega, rimane lo stesso in campo. Insomma gli esiti possibili sono molti, ma a parte quelli autoritari, sempre possibili, se non addirittura di stretta attualità, tutti sono destinati a scompaginare il bipolarismo, anzi la sua versione italiana che si risolve nel monopolarismo sottobanco. Ecco perché tutti augurano lunga vita alla Lega, nonostante quello che abbiamo visto in questi anni: senza di lei viene a mancare un alleato che si può imbrigliare con una fideiussione, manca uno spauracchio da agitare e soprattutto apre spazi nuovi e non governabili.
Per questo sia i berluscones, sia il Pd stanno rimuginando su come affrontare l’emergenza, gli uni cercando di risucchiare il possibile, gli altri facendo balenare alleanze che se ancora non sono ufficializzate dai vertici nazionali è chiaro che sono argomento di discussione. Ma entrambi sperando che la Lega continui ad occupare lo spazio della protesta: si sa che alla fine can che abbaia non morde.