Se è vero, come dice R. Castel, che "ogni immagine è la presentazione di una assenza e la fotografia è l'assenza reale, la presenza familiare e autentica della realtà in sua assenza", oggi bisogna constatare che questa assenza sta diventando totale, si fotografa per provocarla, quasi che l'oggetto diventi visibile e tollerabile solo se posto a distanza incolmabile. La fotografia diventa così, in realtà, una tecnica di allontanamento, una tecnica di controllo.
L'immediata prossimità non è sopportabile se non in effigi. In un mondo esploso, dove l'oggetto liberato diventa metafora inquietante dell'impossibilità di controllo, la fotografia diventa lo strumento che esorcizza se stesso. Essa suscita rassicuranti fantasie di potere e l'archivio, da quello della polizia fino all'album di famiglia, diventa lo strumento che permette di imbrigliare e regolare l'energia degli oggetti liberati. Il rischio è che l'archivio si trasformi in una realtà autosufficiente, senza più bisogno del riferimento a qualcosa altro da sé.
Compiuta questa operazione, omologa alla trasformazione della realtà in spettacolo, sarà perfino possibile provare il gusto del coraggio generoso senza muovere un muscolo, quello della partecipazione senza rischio, a tutti gli aspetti (possibilmente inquietanti) del reale.
Franco Vaccari,
da Fotografia e inconscio tecnologico (1979).