Volendo cominciare a parlare di Tutti i santi giorni, bisogna ammettere in primo luogo, che l’ultima fatica di Paolo Virzì, ci fa stare dannatamente bene e questa non è sempre una buona notizia. Al di là del solito discorso sull’amore, ormai ogni film italiano sembra approdare proprio lì, nel placido litorale dell’amoroso sentire, quello che si agita sotto la superficie da cinema alternativo ed indipendente di questa pellicola, fin troppo osannata da tutti, è ben altro, qualcosa di strisciante, subdolo e pericolosamente mediocre. La parabola dei due ragazzi innamorati in una Roma matrigna e burina, abitata da fantasmi arroganti, ignoranti e violenti, funziona, ma lascia in bocca un compiacimento che a ben pensare, disturba. Assistendo alle gesta dei due protagonisti puri di cuore, lei si smarrirà per un momento, ma lui meravigliosamente determinato a perseguire sempre e comunque il giusto la riporterà sulla retta via, non si può fare a meno di pensare che noi, siamo proprio come loro, che i cattivi, i meleducati, gli incivili, gli italiani, siano gli altri, tutti gli altri. Guido il puro, l’eroe senza macchia, l’umile, il colto, l’eletto, colui che cita nomi e caratteristiche dei martiri e recita a memoria l’Inferno di Dante, è personaggio pericolosissimo nella sua pacata umiltà, perché capace di assolverci senza penitenza e pentimento da tutti i nostri peccati. Il messaggio strisciante sembra dunque essere quello, che la cultura ci eleva dalla massa burina e cattiva, aiutandoci a vivere la vita in punta di piedi, con levità, giudicando gli altri dall’alto della nostra privilegiata condizione di sognatori e filosofi. Povero Guido, quanto dovrà soffrire, per carità sempre con il sorriso sulle labbra, per riprendersi la sua amata, a dispetto di tutto e tutti, verrà picchiato, umiliato e sedotto, ma lui consapevole del proprio status di Uomo di Cultura tra una massa di decerebrati violenti, attraverserà ogni peripezia con cuore saldo e fede incrollabile, sicuro che dopo un immeritato martirio, alla fine trionferà. Ecco il vero problema, possiamo identificarci in Guido e credere che il problema siano i nostri vicini di casa, quelli che parcheggiano in doppia fila e che evadono le tasse, ma noi a loro siamo legati indissolubilmente e di certo non possiamo considerarci migliori , perché in fondo non siamo in grado di costruirci una vita ed un’identità slegata da ciò che siamo come società, come individui, come uomini di cultura o d’azione, che ci piaccia o no, abbiamo una responsabilità verso noi stessi, i nostri simili e questo paese, che è fin troppo facile da rappresentare come un’indistinta massa di pecoroni, di cui fingiamo di non far parte. Tutti i santi giorni ci assolve dal peccato originale di essere italiani, perdonandoci e facendoci guardare la realtà con l’antropologico distacco dello scienziato, intento a studiarne i bizzarri comportamenti, senza dover per forza sentirsi parte di essa. La cultura non basta, l’amore non basta, il martirio di ciò che siamo diventati va espiato tutti insieme, indissolubilmente uniti, indiscutibilmente fratelli, di un’Italia in cui nessuno sa, o vuol più riconoscersi.
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