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tutto come prima, Estella, benché non sia proprio lo stesso

Da Germogliare
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In quei giorni di confidenze, il buio andava sempre più sovrastando la luce. E le giornate si facevano più lunghe, modificandosi nelle intimità e nei pensieri solitari, quelli scuri. Estella mi cercava. Incontravo Estella in due modi, per un lungo fermarci in una caffetteria del centro e poi fare una breve passeggiata, o a casa sua, dove il tempo passava indifferente alle nostre chiacchiere. Insieme per il piacere di prendere un thè o un caffè, erano la scusa per vederci ma, oltre al luogo, erano l’unica differenza che distingueva gli incontri, per il resto tutto si ripeteva sempre uguale, stessi discorsi e stessa metodologia comportamentale per arrivare a parlare sempre di lui (l’uomo del tradimento). All’appuntamento che ci conduceva per le vie della città, la vedevo apparire con tutta la sua regale bellezza, avvolta nel cappotto cammello con la pelliccia, il cappello di cachemire bianco con il pelo lungo, e le mani affusolate, dentro i guanti di merletto di lana. La falda del cappello calata sugli occhi lasciava visibile il dettaglio dello sguardo, e le pupille da lì brillavano, e individuata la corrispondenza, colpivano lo sguardo rivolto; le labbra rosse e lucide in quella pelle ambrata, seguivano quei puntini neri luminosi. A casa, come una cariatide in quel corpo statuario, dalla porta mi accoglieva il suo sorriso, pieno, della semplicità propria di chi conosce le complicanze del vissuto e sa sorridere perché ama la vita. Mi ha sempre ricevuta con allegria. Dentro. Il calore della grande stufa lasciava cadere istantaneamente i nostri vestiti pesanti, lanciandoci più libere nei movimenti. In quella luce morbida dell’inverno che s’infilava attraverso i vicoli dei palazzi e, che si rifletteva e filtrava dalle grandi vetrate della casa all’ultimo piano, si mischiava il giallo del fuoco che ardeva e della lampada in salotto, in quell’atmosfera le nostre parole si abbracciavano delicatamente. E poi, con un fare lento, irrequieto sì ma che anticipava l’urgenza, i discorsi si animavano, la modulazione della sua voce si alterava e iniziava in modo concitata, a essere diversa, rasentando l’isteria. Io, con calma apparente ascoltavo, elaborando all’interno quei fatti che mi piovevano addosso come un uragano improvviso, turbandomi nel remoto. Avrei voluto poter dire ciò che rimuginavo per chiarire i fatti, avrei voluto urlare il mio desiderio di non essere spugna delle ragioni di quella storia, avrei voluto poter essere estranea a tutto quello che andava accadendo, avrei voluto non conoscere le verità. Diverse. In me le contenevo tutte. Speravo esistessero solo quelle, che non ve ne fossero altre, ancora. E. Continuavo ad ascoltarla, tra il silenzio che regalava il respiro di entrambe; mie, poche parole e uno smisurato groviglio di pensieri. Assistevo al mio squilibrio, la pace nel mio essere chiedeva spazio, preferenza. Quella questione incrinava le certezze che andavo costruendo, nel perimetro del mio moto corrente, barcollavano; tremendamente scossa dall’energia di quella situazione in cui ero coinvolta, mio malgrado.

In quel tempo ero molto stupita nell’osservarla, mai l’avevo vista tanto disperata, mai avrei immaginato tanto rimorso in una donna lasciata, e poi, mi sbigottiva quell’attenzione nel cercare tante parole crudeli per descrivere quell’uomo amante-traditore. Forse, l’evento inimmaginabile per lei, il non essere la sola per lui, l’unica, l’esclusivo dono, le aveva permesso di programmare una linea di difesa a tutela di quella storia. Garantirsi quell’uomo per sé, no, lei lo aveva dato per scontato il suo possesso. Forse, sicuramente è stato questo particolare a salvare quell’uomo dai segni delle unghie di Estella. Lei non aveva avuto il tempo di programmare una difesa, in quanto non lo credeva capace di… tradire, di pensare a un’altra che non fosse lei. Nella carne di lui non aveva cercato di affondare gli artigli, non gli aveva fatto uscire sangue e lasciato cicatrici evidenti sulla pelle, ma era stata tenacemente audace nel ferirlo con le parole, provando a massacrarlo in quei ricordi d’intimità confidate e vissute insieme; come amici e come amanti, per brevi istanti che compongono piccole ore. Quante intimità ci possiamo rivelare nel piacere di una telefonata, anche breve, o infilarle tra due parole di un sms. L’intrigo nel giocare tra più righe in un email, valutando parole e punteggiatura. E quanto, quanto intriso nel calore privato di pelle e saliva, mischiati a due caldi aliti che si compongono in un solo respiro. E ancora, andare oltre la linea di unione di due sole figure e incastrarle con garbo nelle modalità di una cena, di un fare pubblico, con i sorrisi d’intesa e le parole cifrate nei gesti conosciuti unicamente a loro; anche se alla presenza di altri ospiti, che tanto sono esclusi da quell’alchimia segreta; e il gioco si accresce di magia, anticipando l’estasi.

Foto: Christian Coigny www.christiancoigny.com

I-Il corpo di Estella
II-Puoi amarla e puoi farti male, Estella
III-Estella esce e tutto ritorna
IV-Le ore con Estella non sanno di giorni


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