Romano Prodi, ex-presidente del Consiglio, docente di economia nell’ateneo bolognese e tanti (ex) altri prestigiosi incarichi,oggi è inviato Onu per il Sahel, un impegno che lo ha portato di recente anche nel Mali, dilaniato da una conflittualità interna di matrice islamista, per cercare, attraverso constatazioni de visu e colloqui mirati, d’individuare possibili strategie di unità e di pace.
Alla “Biennale Democrazia” di Torino, pochi giorni addietro, il “professore”, su invito, ha indicato ad un pubblico attento e molto motivato, tutta la positività dell’Africa nonostante, a casa nostra e in Europa, se ne presentino, specie attraverso il battage superficiale dei “media”,e troppo spesso, soltanto le pecche e /o le caratteristiche negative.
E gli aspetti peculiari su cui, secondo il professore ,bisogna fermarsi a riflettere, noi come Europa, sono tre in particolare.
Il primo e il più importante è il discorso demografico.
In Africa risiede attualmente un miliardo di persone di cui, appena negli ultimi vent’anni, s’è registrato un aumento di quattrocento milioni di unità. Scusate se è poco. E si ritiene,molto fondatamente, in base a proiezioni discretamente attendibili, che nel 2050 gli abitanti del continente nero saranno due miliardi in tutto. Per di più con un’età media, già oggi, di diciotto anni contro i 40 anni e dell’Europa e dell’Italia (vedi calo demografico europeo generalizzato).
Il secondo aspetto, sempre secondo Romano Prodi, è la riduzione dei conflitti rispetto a quelli che sono stati gli anni passati.
Se si eccettuano,purtroppo, i casi complessi di Somalia, di Sudan e di Nigeria.
E ultimo, il Mali, con le possibili e fastidiose infiltrazioni di terrorismo islamico fondamentalista, “griffato”Africa.
E’ Al Qaeda, infatti, quella che soffia a tutti i costi sulla brace e agognerebbe espandersi, da un oceano all’altro. Dall’ Indiano all’Atlantico. E non cessa.
L’assenza complessiva nel continente africano di guerre preoccupanti fa sperare in tempi relativamente brevi in una certa stabilità politica ed economica (ecco il terzo aspetto), di cui per la verità, se si guarda al bicchiere mezzo pieno, ci sono già parecchi segnali.
Per quest’ultimo è ovvio che non deve mancare tutto l’impegno possibile, anche il nostro, per risolvere l’annoso problema della povertà,che affligge realmente, in Africa, almeno il 40% dei suoi abitanti. Cioè quasi metà della popolazione.
Sconfiggere la povertà significa da parte dei loro governanti sopratutto, supportati magari da “stampelle” estere (investimenti stranieri “onesti” cercasi), se è necessario, mettere, ad esempio, la gente in condizione di avere l’acqua a disposizione e anche l’elettricità.
Poter frequentare la scuola e, successivamente, avere anche un lavoro retribuito.
E, ancora, potersi curare e non soccombere di continuo, anche nell’infanzia o da giovanissimi, ad epidemie dovute a carenze strutturali del contesto.
In poche parole avere le opportunità di riuscire ad accedere presto e bene ad una accettabile qualità della vita.
Già attualmente, in base a dati attendibili, è noto che, comunque, il 40% degli africani frequenta regolarmente la scuola superiore e, se ci sono i mezzi della famiglia, prosegue all’università.
E, nell’insieme del continente, da 7 o 8 anni a questa parte(è sempre il prof. Prodi che cita i dati), si – egli puntualizza - una crescita media del Pil annuo del 5%, che fa sperare bene. E se l’economia diventa trainante della politica, in Africa, si avrà di conseguenza una maggiore democratizzazione delle differenti realtà statali.
Non importa se il prezzo, qualche volta, potrebbe essere ed è, in effetti (perché lo abbiamo visto e lo vediamo nell’Africa del Maghreb e in Egitto) quello di inevitabili tensioni sociali.
Le generazioni cambiano negli anni e la gente istruita domanda, com’è giusto che sia, maggiore trasparenza ai propri politici, nonché preme inevitabilmente per una partecipazione più diretta alla cosa pubblica.
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)