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“TUTTO IL RESTO” E GLI SCRITTORI PRECARI: a dieci dita con Simone Ghelli.

Creato il 02 ottobre 2012 da Wsf

“TUTTO IL RESTO” E GLI SCRITTORI PRECARI: a dieci dita con Simone Ghelli.

R.: Una sensazione di impietosa delusione che smuove menti e istinti e creatività e mani e dita e testa, di quelle persone che hanno scelto consapevolmente, nel loro intimo, di essere scrittori. Il senso di frustrazione profonda che provoca la consapevolezza di doversi probabilmente “spendere male”  per vedersi riconosciuto il ruolo scelto. Quindi, l’istinto di sopravvivenza che porta qualcuno o molti a tentare il tentabile, ad inventarsi modi e spazi, ad usare quanto più possibile i mezzi a disposizione per emergere senza piegarsi a quanto sta succedendo (da anni ormai) in questo “sporcato” mondo della letteratura. Quando questo istinto di sopravvivenza diventa impegno attivo e concreto ci si trova di fronte a realtà di bellezza autentica. Cercando nel web, contenitore ancora poco riconosciuto e mezzo veicolante di scrittura (e di mille altre arti) incontriamo temerarie menti che sono ben lontane da quello che ormai ci vuol far conoscere il mercato editoriale in genere, propinandoci libri che poi ritroveremo in autogrill scontati o, ancor peggio, facendoci pagare il nostro “prodotto”.

Credo si debba,  tra questi pixel che ci permettono tanto, quanto più possibile dare spazio a tutto il resto, perché se è ancora probabile un cambiamento noi è lì che dobbiamo guardare.

Scrittori precari è già molto di tutto il resto…

 E’ un collettivo che nasce nel 2008, nel loro blog (http://scrittoriprecari.wordpress.com/) si descrivono così: “Scrittori precari  nasce come rivendicazione della centralità della scrittura e della sua condivisione attraverso la lettura pubblica, in particolare nelle forme di una narrazione in grado di declinare questi nostri anni sacrificati sull’altare della flessibilità …” . Dunque la lettura pubblica come ponte tra chi scrive e chi ascolta, ritrovando e rivisitando a mio parere, in qualche modo, l’antico ruolo dell’oratore. L’impegno sociale palesemente chiarificato nel lavoro di questo gruppo di persone e il riconoscimento cosciente della loro precarietà di vita, che se essere precari significa questo con fierezza vorremmo esserlo tutti.

S.: E tutto il resto penso che sia tanto, forse la maggior parte…

È il gesto ad esempio: ché quello esce per forza di cose dalla pagina scritta. Il gesto di ritrovarsi, per l’appunto, e d’inventarsi tempi e spazi.  Sentiamo da tempo l’esigenza di uscire dallo schermo, di dare corpo per strada alla parola: è questa gestualità a tenerci uniti da così tanto tempo. E anche il modo di non prendersi mai troppo sul serio, certo. È il motivo per cui preferiamo tenerci a distanza dalle polemicucce letterarie: perché c’interessa in primo luogo raccontare – a voce o per scritto, su carta o su schermo. Credo che questo sia l’antidoto migliore nei confronti del senso di frustrazione e della coscienza dello “spendersi male”: nel senso che nella dimensione del raccontare si esce fuori dal dominio del mercato (che invece riguarda senz’altro aspetti come il pubblicare o il lavorare in una redazione), per entrare in uno spazio in cui l’unica moneta è la parola. La delusione si può semmai presentare quando ci si affaccia sull’abisso di un orizzonte vuoto – può capitare, e ci è capitato, di avere un uditorio scarsamente popolato, ma guai a dare la colpa a chi non c’è (e qui può venire in soccorso l’ironia, quel non prendersi troppo sul serio che non è certo sinonimo di sciatteria, bensì di semplice buon senso). Troppo facile dare infatti la colpa ai lettori, a una massa indefinita alla quale ci s’interessa solo quando fa comodo – quegli ignoranti dei lettori che non ci comprenderebbero. Preferisco invece pensare agli scrittori, che troppo spesso ignorano il lavoro dei loro colleghi, salvo poi lamentarsi perché i loro libri non vendono, perché non sono letti. Mi chiedo perché i lettori dovrebbero interessarsi al loro lavoro, quando questi scrittori sono i primi a pensare esclusivamente a se stessi. Ecco, mi pare questo il principio su cui si fonda il nostro collettivo: qualcosa che azzarderei definire come una propensione all’ascolto, al pensarsi lettori prima ancora che scrittori. E precari, certo, perché poi nasce tutto da là: da lavori che vanno e vengono e che hanno ridefinito il nostro modo di vivere il tempo – un tempo frazionato e perennemente a scadenza, che non poteva non influenzare il nostro modo di raccontare.

R.:

S.:

R.: Ci fumiamo una sigaretta?

S.: Sì, anche se cerco sempre di smettere.

R.: …quella cosa della propensione all’ascolto, lettori prima ancora che scrittori. Mi piace.

S: Piace anche a me, a dire il vero. Alla fine è più il tempo che passo a leggere di quello in cui sto impegnato a scrivere. Non è che uno debba per forza avere sempre qualcosa da dire.

R.: Benedetta condivisione che sempre appaga…

S.: Non lo so se sempre appaga: per certo è faticosa. Devi sempre stare in gioco, confrontarti, trovare nuove strade. Di certo non è come fare il genio chiuso nella propria casetta. Quello sì che è benedetto: nel senso che si dipinge in stato di grazia.

R.: Beh, qui sarebbe necessario rivisitare un po’ il concetto di: senso di grazia… ma così rischiamo di finire fuori tema.  Dove sarete prossimamente con scrittori precari?

S.: Il 13 ottobre alle 16 saremo al C.S.O.A. Ex Snia di Roma per Logos – Festa della Parola. Il 20 e 21 ottobre ci troverete invece in giro per la manifestazione Mal di Libri, che si terrà nel quartiere Pigneto, sempre a Roma. [*]

R.: In azione continua. Grazie Simone.

[*] http://www.logosfest.org/ –  http://www.logosfest.org/


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