Tutto il resto è marketing – Nymphomaniac

Da Borga007

C’è da dire una cosa: che piaccia o no, bisogna riconoscere a Lars von Trier di essere un buon comunicatore. “Male o bene, purchè se ne parli” recitava un Oscar Wilde selvaggiamente tradotto e mister von Trier ha costruito su questa frase la sua campagna pubblicitaria del film.

Mesi e mesi nei quali non sono usciti altro che articoli di giornale che titolavano “Ecco il porno di von Trier” o “Scandalo al cinema”, giornali che si preoccupavano solo di capire quanti peni, quante vagine e quanti peni dentro vagine ci fossero dentro questa pellicola senza parlare di qual’è la storia che viene narrata attraverso il volume I e II. Qui uniamo tutto, niente I e II. Cercherò di raccontare il mio pensiero e le mie sensazioni dopo aver visto questo che, a mio parere, è un filmone.

La trama. Joe, la ninfomane protagonista, viene ritrovata brutalmente malmenata in un vicolo da Seligman. L’uomo la porta a casa sua e davanti ad un tè con il latte (allora non lo beviamo solo io e gli inglesi, a quanto pare), la donna comincia a raccontare la sua vita traendo ispirazione dagli oggetti presenti nella stanza.

Andiamo sempre per punti che è una cosa che mi viene bene, eh. Cercherò di evitare più spoiler possibili, lo prometto, per invogliare la visione. Perchè questo è un filmone. L’avevo già detto, vero?

Gli attori. C’è un cast di dimensioni giga-intergalattiche: Charlotte Gainsbourg, nel ruolo di Joe adulta, Stellan Skarsgard, nel ruolo di Seligman, e poi Shia LaBeouf, il redivivo Christian Slater ormai abbonato solo ai film direct-to-video, Uma Thurman presente per tipo quattro minuti su quattro ore di film, Jamie Bell e Willem Defoe che compare credo un paio di minuti in più della Thurman. E su tutti la grandissima Stacy Martin, nel ruolo di Joe da giovane, che sfodera una performance strepitosa in un esordio nel mondo del cinema che più difficile di così non poteva essere. Una ragazza sicuramente destinata a far strada. La Gainsbourg in un’altra prova da bravissima attrice-feticcio di von Trier e un Skarsgard semplicemente perfetto, continuamente tra la saggezza, l’imbarazzo e l’inquietudine. Per quanto riguarda l’ex amico dei Transformers sembra che non reciti nemmeno: rompipalle e strafottente, ma decisamente azzeccato, come dev’essere nella realtà. Però è anche amico di Optimus Prime quindi… Grande Shia, troppo simpatico. Amica Uma, invece, ci regala quattro minuti da sposa di Kill Bill quando gli hanno appena sparato nel giorno del matrimonio.

“… ed è così che dopo aver liberato Pazuzu sono andato a cantare in Grecia insieme a Meryl Streep”

Lars von Trier. Von Trier è bravo e sa di esserlo. In quattro ore, nei due “volumi”, ci sono una moltitudine di inquadrature perfette, roba da fare uno screenshot, accendere la stampante e fare un poster due metri per due. Ho detto fare uno screenshot? Intendevo fare una foto allo schermo del cinema. No no, scusate, sono andato in confusione. Quando scrivo di film che mi sono piaciuti non capisco più nulla visto che capita così raramente. Atmosfere perfette, ritmi gestiti magistralmente e musiche bellissime a partire dal “Ich Ruf Zu Dir Herr Jesu Christ” di Johann Sebastian Bach che quasi diventa il tema di Joe e dell’intero film. Un film che, nonostante la propria lunghezza, non riesce mai ad annoiare, tensione in alcune situazioni palpabile e sequenze da brividi. Dopo un Melancholia non troppo convincente, a mio parere, il regista danese si riscatta alla grande.

I peni e le vagine. Perchè, parliamoci chiaro, voi che state leggendo questa pseudo-recensione non stavate aspettando altro. I peni e le vagine ci sono e si vedono come sono presenti in un qualsiasi libro scolastico di scienze. E non nel senso che sono rosa e abbozzati ma nel senso che gli apparati genitali ce li abbiamo tutti e sappiamo come sono fatti. E’ presente una discreta quantità di rapporti sessuali (ma guarda che caso, il film si chiama Ninfomane) di cui sono presenti pochissime sequenze esplicite. Sequenze che, come è possibile leggere in millemila interviste sul web, sono state realizzate tramite effetti digitali e ad attori porno professionisti. Un gran polverone per un giochino di montaggio che riempirà un minuto si e no su quattro ore di pellicola. Insomma, tutto un gran numero di marketing, una mossa di von Trier per attirare spettatori. Spettatori che, una volta in sala, capiranno quanto la stampa generalista cinematografica, e non, faccia cagare nel nostro Paese.

Non ci credereste ma potrebbe scappare il sorriso in questa scena.

Il film. Questo film parla della solitudine, nient’altro. La solitudine di Joe, una ragazza inizialmente normalissima che non riesce a crearsi una propria vita, si convince sempre della sua condizione di reietta e ne approfitta sempre di più, arrivando ad un punto di non ritorno. Un film che racconta una storia di una persona qualunque, una vita qualsiasi con le sue difficoltà che non avrebbe causato lo stesso scalpore se fosse capitato ad un uomo, come dice lo stesso Seligman nel finale del volume II. Joe è prigioniera di una società contemporanea opprimente della quale è vittima, poi diventa carnefice dal momento in cui comincerà a vivere secondo il motto “Mea vulva, mea maxima vulva”, un inno ad un femminismo estremista che disprezza e usa a proprio piacimento il genere maschile, per poi tornare, nel finale del film, ad essere una vittima. Perchè si sa che tutti gli uomini sono dei maiali. Nessuno escluso.

Nymphomaniac non è un porno e chi l’ha visto e lo definisce tale forse non ne ha mai visto uno per davvero e dovrebbe limitarsi alle fiction di Rai 1. Si tratta di un’opera massiccia di un regista ormai confermatosi a livello mondiale che dopo capolavori come Dogville, Gli idioti e Dancer in the dark raggiunge, internazionalmente, il suo apice. Bello, emozionante, coinvolgente.

Tranzolli, insomma. Si dice ancora tranzolli?

In conclusione volevo segnalare la recensione-approfondimento dell’amico (su Facebook) Federico Bernocchi su rivistastudio.com, sicuramente più intelligente e motivata dalla quale è possibile che abbia tratto ispirazione. Si fa quel che si può, insomma.



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