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Tutto può accadere a Broadway

Creato il 03 novembre 2015 da Giorgioplacereani
Peter Bogdanovich
Comincio dal fondo. Non è per nulla che alla fine della bellissima commedia di Peter Bogdanovich She’s Funny That Way (Tutto può accadere a Broadway) compare Quentin Tarantino nella parte di se stesso. Il vecchio Bogdanovich e il giovane (beh…) Tarantino hanno una cosa in comune: la tendenza a costruire film sul cinema, formare una storia che non è una mimesi sia pur ironica della realtà ma una mimesi (celebrativa) della mimesi cinematografica della realtà. Poi naturalmente ognuno ha la sua strada. Tarantino crea un mondo surreale, un collage di memorie cinematografiche riproposte in una nuova composizione; Bogdanovich crea un film-celebrazione che nasce dalla riproposizione nostalgica, quasi filologica, dell’universo della commedia classica. Non potrebbe dichiararlo più chiaramente She’s Funny That Way, che parte con l’omaggio a Fred Astaire e Ginger Rogers, Spencer Tracy e Humphrey Bogart; che vive di riferimenti e citazioni; che si conclude con un capitale frammento di Cluny Brown (Fra le tue braccia) di Lubitsch. Questo frammento finale assolve a più scopi: paga un debito riconoscendo l’origine del tormentone della noce e del coniglio che attraversa il film; chiude in modo debitamente metacinematografico il film; rende omaggio a uno dei numi ispiratori del film stesso.Per Bogdanovich i film classici non sono solo delle belle storie. Sono delle allegorie dell’esistenza, dei miti nel senso proprio della parola, che danno lezioni di vita e di morale. Dunque il citazionismo polimorfo del film non è semplicemente una raccolta di momenti preziosi e venerati stilemi ma è un riferimento costante che serve a costruire una visione del mondo e un’etica. Si potrebbe dire: cinematographia magistra vitae. E così la protagonista Isabella (Imogen Poots) trae la sua filosofia e la sua etica dai film - classici, ripeto (proprio come fa Woody Allen in Crimini e misfatti: le scene col nipote). La sua visione del mondo ha un’identificazione precisa, Audrey Hepburn: che è punto di riferimento di She’s Funny That Way sia nella soggettività della protagonista sia nell’oggettività del plot. Questo materiale mitico si organizza in forma di replica (calda, invitante e, non occorre dirlo, divertentissima) delle commedie del cinema americano di una volta. E’ questa una delle basi del cinema di Bogdanovich, e basta citare Ma papà ti manda sola? Reggono il film un gusto narrativo vivacissimo, un senso scatenato del ritmo (ottimo per una storia che è un turbinio di equivoci e inganni a catena), un dialogo scoppiettante.Come si suol dire: nessuna buona azione resta impunita. Il ricco regista teatrale Arnold Albertson (Owen Wilson) è un libertino benefattore: alle escort che gli sono simpatiche regala 30.000 dollari sull’unghia, col che dà loro l’opportunità di cambiar vita. Così fa con Isabella, una escort ottimista piena di onestà e buon senso, alla quale si presenta sotto il nome di Derek, perché è sposato con figli (è buffo che Derek Thomas fosse lo pseudonimo di Bogdanovich quando, lavorando per Roger Corman, “americanizzò” un fantafilm russo). Naturalmente salta tutto fuori; si potrebbe dire che She’s Funny That Way è un’illustrazione farsesca della teoria dei sei gradi di separazione, solo che qui ne occorrono assai meno. E’ una carambola di sorprese per i personaggi (ma anche per noi spettatori quando veniamo a sapere che quella di Arnold era una filantropia al plurale, fino alla deliziosa rivelazione finale). Una carambola di sorprese - continuamente punteggiata dallo squillo dei telefoni che inter/rompono sempre - in cui ogni maschio prima o poi si prende in faccia un cazzotto. L’umorismo di Bogdanovich, co-sceneggiatore con Louise Stratten, è dissolvente. I rapporti matrimoniali, quelli di amicizia, quelli di lavoro, per non dire de quell’idolo americano che è la psicoanalisi, si sciolgono nel calderone di incontri scontri e sotterfugi; mentre le forze che muovono il mondo risultano essere il sesso, il denaro e (attenzione!) la gentilezza. Non occorre essere un acido laudator temporis acti per osservare che in She’s Funny That Way c’è una felicità di narrazione e di ritmo che appartiene piuttosto alle commedie del passato che del presente. E viene da pensare (con qualche amarezza) che appartiene al passato anche quella soprannaturale perfezione collettiva, da orchestra, delle caratterizzazioni e delle interpretazioni - che si allarga anche agli animali (Hawks insegna!). Nella commedia americana contemporanea, solo forse in alcuni film di Woody Allen, non gli ultimi, si è visto un effetto del genere. Di questa galleria di personaggi… come si diceva al tempo della screwball comedy… picchiatelli, non ce n’è uno che non sia azzeccato. E siccome ci vorrebbe un paragrafo intero per menzionarli, personaggi e attori, meglio rinunciare. Forse anche credere nel lieto fine, come ci crede pervicacemente Isabella, è una cosa del passato. E certo, mettere come figura positiva una escort nell’epoca del politically correct e della sessuofobia femminista fa anch’esso commedia del passato (ricordo capolavori di Billy Wilder come Irma la dolce e Baciami, stupido). Se penso a Peter Bogdanovich (il cui film ha avuto vita grama negli States) la sola definizione che mi viene in mente è di origine geopolitica: “orgoglioso isolamento”. 

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