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Veicolo incredibile di emozioni e sentimenti, mezzo espressivo in grado di unire e separare, accumulare e dar sfogo. Magia armonica pronta ad accompagnare i momenti della nostra vita in ogni istante, a prescindere dal loro carattere positivo o negativo.
A pensarlo è anche il regista John Carney, che gli dedica un inno d'amore unplugged - chitarra e voce - servendosi delle due anime a pezzi interpretate da Keira Knightley e Mark Ruffalo. Entrambi in "Tutto Può Cambiare" hanno problemi di cuore (e non solo) da rimettere a posto, compresa un esistenza in stallo (se non in bilico), bloccata rispetto alla direzione che stavano percorrendo e ostruita verso qualsiasi traversa o svolta gli si presenti di fronte. L'unico modo per risolvere il momentaneo fermo allora è quello di mettersi l'uno di fianco all'altro sfruttando i rispettivi punti di forza: per lui la capacità di scovare talenti musicali e per lei quello di esser promettente cantautrice dal forte carattere.
Però attenzione perché, sebbene raccontata così potrebbe sembrare, la storia di "Tutto Può Cambiare" non ha la minima intenzione di essere l'ennesima rappresentazione di quei romance smielati in cui, dal momento di maggiore difficoltà, entrambi i protagonisti trovano il vero amore e con esso il lieto fine, e ce ne possiamo rendere conto non appena Carney (che è anche sceneggiatore) nel punto massimo della sua performance, usa la musica e i suoi benefici esclusivamente come farmaco miracoloso, ovvero come espediente fondamentale idoneo a tenere in movimento e a restituire respiro a chi stava rischiando di perderlo.
Ciò non significa che tra i personaggi di Greta e Dan non si arrivi mai a considerare l'ipotesi di una relazione (che infatti, in più di un occasione, rischia di instaurarsi interrotta solo da ostruzioni più o meno volontarie), ma esclusivamente che le volontà del regista sono talmente più alte e preziose da conquistare, da non potersi permettere di sprecare tempo nei confronti di qualcosa che è stato già considerato e mostrato in ripetute occasioni. Carnan dunque compone l'alchimia tra i suoi personaggi attraverso playlist identificative e gusti musicali condivisi, passando per una collaborazione discografica che vede la pubblicazione di un album da registrare non in sala d'incisione, ma per le strade di New York: un lavoro che oltre ad essere lo specchio dei cuori dei loro esecutori, aspira a contenere i rumori e le voci di una città complice di aspettative e di delusioni così come di riscatti e di successi. Una sperimentazione audace, che trascina con sé prove di ripartenza e cuciture di vecchi strappi per cui vale la pena lottare e (ri)mettersi in gioco.
Certo, con un accompagnamento musicale più pesante e variopinto Carney avrebbe potuto suscitare sensazioni un tantino più elevate rispetto a quelle soft di cui si accontenta. Eppure è evidente che il suo lavoro trasuda sincerità e anima da tutti i pori, sfociando oltre che in un evidente omaggio alla musica in generale, anche nella celebrazione della scrittura come terapia portentosa per chiunque abbia voglia di esorcizzare dolori, scavarsi dentro o farsi ascoltare.Da questa splendida intuizione, e dalle mille risposte che una canzone è capace di inviare, è possibile quindi sciogliere i dubbi e tornare a sorridere, trovando quel varco che prima era assente o che ciechi, magari, non riuscivamo a vedere.
E che per essere attraversato, forse, aveva bisogno di quella manciata di coraggio ora rintracciata.
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