La quarta puntata del nostro speciale sui bilanci dei maggiori gruppi editoriali, dopo le analisi relative a RCSMediagroup, gruppo Espresso-Repubblica e 24Ore, è dedicata al gruppo Caltagirone Editore la holding proprietaria dei quotidiani Il Messaggero, Il Gazzettino, Il Mattino, Leggo, Corriere Adriatico e Nuovo Quotidiano di Puglia.
I ricavi
I dati delle singole voci di ricavo non lasciano margine di dubbio: il maggior responsabile della flessione dei ricavi è la crisi della pubblicità. Potremmo dire addirittura che per Caltagirone rappresenta non solo il principale ma quasi l’unico “colpevole” perché la discesa dei ricavi pubblicitari passa dai 156 milioni del 2010 ai 91,5 del 2014. Ovvero un valore di –64,5 milioni che rappresenta da solo l’82% della flessione, nel medesimo periodo, dei ricavi totali [-78 milioni]. Le cose vanno ancora peggio se analizziamo le ultime tre annualità [2012–2014] con un peso della pubblicità sulla flessione dei fatturati dell’86%.
I ricavi diffusionali tutto sommato reggono bene considerando il contesto generale: i –9 milioni che ha portato il diffusionale dai 79 milioni del 2010 al valore del 2014 è un differenziale minimo nella turbolenza del periodo attuale e con la crisi della vendita di copie cartacee. Ci sarebbe semmai da chiedersi il perché di tanta flessione dei fatturati pubblicitari di fronte a una sostanziale tenuta della diffusione. La risposta sta sia nella tensione sui listini di vendita, sui prezzi di vendita dell’advertising, in calo, che, probabilmente, su inefficienze della concessionaria. Infatti i dati sui ricavi di Piemme, la concessionaria pubblicitaria del gruppo, vedono una flessione netta e risultati netti costantemente negativi dal 2011 a oggi.
Il rapporto ricavi/costi e l’assoluta marginalità degli “altri ricavi” fa emergere anche per il gruppo Caltagirone un sistema di ricavi pochissimo differenziato e quindi tutto incentrato sulla coppia ormai obsoleta pubblicità/diffusionale. In questo scenario qualsiasi taglio effettuato sui costi risulta poco più che un palliativo incapace di arginare il declino dei fatturati [lo sappiamo, è un concetto che ripetiamo spesso ma è un tema sul quale a nostro giudizio ha valore insistere molto].
Digitale
Diciamo subito che nei bilanci e nei documenti non abbiamo trovato dati relativi ai ricavi da attività digitali. Nella comunicazione del bilancio 2014 si parla di «terzo operatore informazione digitale italiano» di «Raccolta pubblicitaria sui siti internet +46,3% rispetto al 2013», sì ma di cifre del 2013 niente [quindi +43% di quanto?]. Si fa riferimento alla pubblicità digitale affermando che si è «superato il 10% dell’intero fatturato pubblicitario» quindi, facendo due calcoli, circa 9 milioni euro. Ma d’altra parte dal gruppo nel documento di bilancio alla voce “attività editoriale” si ammette che «Relativamente alle vendite di abbonamenti e copie multimediali delle testate del gruppo, i dati non risultano ancora significativi, e la loro incidenza sui ricavi diffusionali del gruppo risulta ancora marginale». Insomma, molto fumo e poco arrosto, pare.
Detto questo però alcune considerazione ha valore farle ugualmente. Abbiamo visto il panorama generale dei gruppi editoriali italiani: l’unico editore con percentuali da digitale sui ricavi totali al di sopra del 20% [in calo nel 2014 peraltro] è il gruppo 24 Ore, gli altri sono decisamente in ritardo e al di sotto di percentuali di incidenza digitale adeguate a grandi gruppi editoriali. Aggiungiamo a questo quadro che i fatturati da digitale hanno bisogno di svilupparsi grazie alla monetizzazione di audience sempre più vaste ed estese [non a caso le grandi testate estere che guidano la trasformazione digitale come Guardian, Washington Post e New York Times stanno adottando decise politiche di espansione globale ben oltre i loro confini nazionali]. Da noi, in scala minore, sia al gruppo Espresso che a Rcs i fatturati da digitale comunque derivano in larga parte rispettivamente da Repubblica e Corsera, le due ammiraglie a carattere nazionale. Realizzare una politica di sviluppo economico con al centro il digitale per un editore come Caltagirone, con testate di dimensione prettamente locale è, oggettivamente, ancora più difficile e complicato perché monetizzare attraverso queste comunità di lettori resta ancora per molti giornali (non solo italiani) un autentico rompicapo. Ma sarà proprio questo, a nostro parere, uno dei più importanti nodi da sciogliere per il futuro del gruppo.
Il taglio ai costi
I costi operativi sono stati tagliati nelle ultime cinque annualità per 50,9 milioni di euro [da 220,9 milioni del 2010 ai 170 del 2014] un taglio del 23% sostanzialmente in linea con quello fatto da altri gruppi. Nell’ultima annualità tra l’altro costi operativi e ricavi praticamente coincidono.
organici gruppo caltagirone
I dipendenti del gruppo nel 2010 erano, al 31 dicembre, 1.079 [1.088 i dipendenti medi] nel dicembre 2014 scendono a 843 [881 nel periodo medio] un taglio di 236 unità pari al 22%. Il taglio più deciso è stato effettuato lo scorso anno con una flessione del 10%. La categoria che ha sofferto più questo flessione è stata quella degli “impiegati e quadri” che contribuiscono al taglio totale per il 58% mentre i giornalisti “solo” il 25%. Il costo unitario per dipendente non segue una calo costante nel tempo ma si mantiene sostanzialmente costante nel tempo: si passa dagli 88.608 euro del 2010 ai 95.978 del 2012 per tornare a 88.278 del 2014.
Le testate principali del gruppo
[Nota metodologica: i valori delle singole voci, dove non specificato, sono quelli puntuali indicati anno per anno nei relativi bilanci e non quelli rideterminati su base omogenea o riclassificati nei bilanci successivi (per essere più chiari: ad esempio, la voce ricavi del 2012 è quella indicata nel bilancio 2012 non quella eventualmente rideterminata suvccessivamente nel bilancio 2013)].
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