A mia nonna stava antipatico Nando Gazzolo. C’era un motivo: la sovraesposizione mediatica come protagonista di sceneggiati sugli unici due canali disponibili ai tempi, unita allo scarso indice di gradimento per l’Amaretto di Saronno era decisiva. In percentuale, non era difficile trovarselo davanti almeno una volta dopo il telegiornale. Non essendo muniti di telecomando non è come ora che ti sposti di un programma in più o in meno comodamente dalla poltrona quando c’è qualcosa che non ti va. Ed era un fattore di forma mentis. Dotati ancora di quel tipo di intelligenza sequenziale, prima che Internet e tutti i passatempi digitali ci forzassero a compiere un doloroso quanto gratificante adattamento all’intelligenza parallela che poi è quella che nei più piccoli mettiamo all’indice come causa di deficit di attenzione e di dislessia, disgrafia, discalculia e disgrazie infantili varie, era facile fare altro per i minuti in cui il noto attore icona della tv in bianco e nero (almeno nel mio immaginario collettivo, e ho volutamente scritto sia mio che collettivo) assaporava una bicchierino di Amaretto di Saronno perché c’era la capacità per i telespettatori di versarsi nel frattempo un goccio – nel nostro caso non di Amaretto di Saronno – o di versare un goccio di pipì in bagno e tornare permeabili e ben disposti davanti agli apparecchi catodici una volta terminata la parentesi commerciale e sgradita.
Come vedete, non sussisteva nemmeno un problema di pigrizia. Mia nonna era abituata a ben altro. Si sparava cinque piani di scale a piedi più volte al giorno anche carica di spesa, parte della quale composta dalla focaccia che mangiavo a merenda sfogliando un Topolino. Una volta era volato giù in cortile un pallone da un poggiolo, lei era scesa a recuperarlo e poi anziché restituirlo al proprietario nostro vicino di casa lo aveva dato a me. Oppure mi sfidava a correre nei boschi per vedere chi arrivava prima, quando trascorrevamo insieme le estati nella sua casa di campagna. Conosceva tutti i posti migliori per trovare i funghi e tornava sempre con cestini pieni zeppi di esemplari di tutti i tipi, non solo quelli facilmente riconoscibili come sani, ma anche le specie meno note ma che sapeva per esperienza essere commestibili. Le persone di campagna sono così, ci sono quelli che si costruiscono le case da soli, quelli che fanno i muratori fino a quarant’anni e poi da un giorno all’altro si mettono a fare i panettieri e quelli che trovano porcini di dimensioni record e vincono contest locali con l’esemplare in vetrina presso il verduriere del centro.
Poi ogni tanto litigava con qualcuno in famiglia e si trasferiva da sua sorella finché qualcuno non le andava a chiedere scusa, anche in questo una volta le persone di campagna erano così. Suo fratello non ha mai rivolto più la parola a lei e ai loro genitori per una striscia di terra contesa, è morto così, vecchio e senza aver mai più salutato i suoi parenti più stretti. La gente contadina è strana. Mia nonna sapeva preparare una specie di pane cotto nella stufa a legna il cui impasto prevedeva l’uso di latte cagliato, si svegliava prestissimo per prepararlo e farmelo trovare caldo a colazione da farcire con la Nutella e poi a merenda con il salame. Una ricetta probabilmente semplice ma che nessuno ha mai imparato, e soprattutto difficile da replicare senza forno a legna, tanto che quando è morta quel sapore è sparito con lei. Già, a un certo punto lei, che aveva già perso il marito e un figlio, oltre ai genitori, sì è ammalata in quel modo in cui ci si ammala senza ritorno. Un pomeriggio, qualche giorno prima che fosse ricoverata per l’ultima volta, l’ho vista seduta in vestaglia sul bracciolo della poltrona rivolta verso la finestra, probabilmente non guardava fuori ma guardava dentro di sé, sapeva dei giorni contati e non riusciva a capire esattamente quanto mancasse, si aspettava comunque che la malattia le chiedesse scusa, a volte tra la gente in campagna si fa così.