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Tutto sulla nuova offensiva anti-Isis a Raqqa

Creato il 14 ottobre 2015 da Danemblog @danemblog

L’ora zero per l’offensiva su Raqqa scatterà tra poche settimane. Lo ha annunciato Sipan Hamo al londinese Al Hayat: il capo della milizia curdo-siriana YPG, guiderà l’operazione verso la capitale siriana del Califfato, e dice che sono già in corso contatti con la Coalizione US-led. Sarà affiancato da un insieme di forze combattenti che ieri s’è ufficialmente presentato in un comunicato come “Syrian Democratic Force”. L’alleanza è composta da gruppi militanti di varie etnie e credo: ci sono i curdi, ci sono gli assiri, ci sono gli arabi e ovviamente i sunniti.
LE FORZE SUL CAMPO
Due settimane fa fa la Casa Bianca aveva annunciato un cambio di strategia nelle operazioni militari “di terra” in Siria: rottamato il programma di addestrare ribelli siriani certificati, anche perché gli ultimi appena entrati in territorio operativo aveva consegnato armi e bagagli alle predominanti forze qaediste della Jabhat al Nusra e ripudiato Washington. Il piano adesso prevede il sostegno (più o meno diretto) al gruppo curdo, tramite una forza araba (di cui si assumono le responsabilità su possibili derive radicali i Paesi del Golfo e la Giordania).
Domenica l’aviazione americana ha paracadutato 50 tonnellate di armi leggere e munizioni in un’area della regione di Hasaka, nord siriano, controllata dai curdi. «È il modello Kobane» ha scritto sul Corriere della Sera l’inviato a Washington Guido Olimpio. La decisione americana di appoggiare i curdi siriani ricorda in effetti la vicenda, vittoriosa, della cacciata dell’Is dall’enclave curda. Solo che c’è un’enorme differenza: Kobane era svuotata dai suoi abitanti, la città era rimasta un enorme campo di tiro, dove gli airstrike della Coalizione potevano procedere senza rischi di danni collaterali: Raqqa è una grande città, piena dei suoi abitanti. Questo è uno dei problemi che porta la strategia prevista per l’offensiva a limitarsi, per il momento, ad un’operazioni di accerchiamento (un altro problema è che a Raqqa il Califfato dispone di forze ingenti). L’assedio dovrà tagliare fuori Raqqa dal resto del paese ed isolarla fino allo sfiancamento, almeno nelle previsioni.
UN NODO GEOPOLITICO
Appoggiare l’YPG significa appoggiare coloro che sono stati colpiti dall’attentato di Ankara avvenuto sabato. I curdi siriani sono alleati di quelli turchi e le milizie combattenti dell’YPG sono amiche del Pkk: la Turchia considera entrambi organizzazioni terroristiche e ha messo spesso i secondi nell’obiettivo della missione militare che il governo definisce di antiterrorismo e a volte ha colpito con raid aerei anche postazioni dei primi. È interessante capire la reazioni di Ankara alla decisione americana: avrà la meglio la via polarizzante intrapresa dall’esecutivo con la decisione di riaprire il fronte con i curdi, oppure vincerà il realismo politico di detronizzare Bashar el Assad?
ALTRI SUPPORTI E ALTRI FRONTI
Sul New York Times è uscito un lungo articolo che racconta come le armi “made in Usa” stanno trasformando il conflitto siriano in una guerra proxy tra Washington e Mosca. Il Nyt si riferisce non a quelle paracadutate ai curdi, che teoricamente saranno utilizzate solamente contro il Califfo, ma ai missili anticarro americani Tow con cui i ribelli siriani stanno facendo strage di carri armati russi del regime nelle piana di Hama. In quella zona la strategia pensata da Damasco, Mosca e Teheran doveva portare a termine un rapido test di successo e riconquistare quelle fette di territorio che stanno a cuore ad Assad (perché sono vicine alla roccaforte del regime, Latakia). Per questo si vedono operare sul campo forze miste: esercito siriano, la milizia lealista “Forza di difesa nazionale”, iraniani, Hezbollah, tutti coperti dal cielo dagli elicotteri russi che operano a distanza ravvicinata (come già visto fare in Afghanistan). L’offensiva, che non prevede di attaccare lo Stato islamico che si trova più a est, finora ha subito una battuta d’arresto, proprio perché i blindati governativi sono stati fermati dai missili anticarro dei ribelli ─ solo nella giornata di mercoledì scorso sono stati distrutti otto carri armati, e ricorda Daniele Raineri sul Foglio che si è trattato della perdita più grossa subita dall’esercito siriano dalla guerra con Israele del 1973.
Negli ultimi cinque giorni, oltre trenta video di missili anticarro che sfondano i blindati siriani sono stati messi online su Youtube (la pubblicazione, come spiegato l’anno scorso dal Washington Post, serve sia come propaganda sia a dimostrare che queste armi sono effettivamente usate dai gruppi combattenti e non rivendute sul mercato nero per far cassa) . I Tow si sono rivelati l’arma perfetta per la situazione: sono versatili, facilmente trasportabili, inquadrano il bersaglio da quattro chilometri di distanza e possono essere sparati da piccoli gruppi di ribelli, che si sono dispersi e posizionati ai lati della piana accerchiando i governativi.
Questo genere di armamenti è cominciato ad arrivare in mano ad alcune fazioni del FSA nel 2013, attraverso un programma segreto gestito dalla Cia, in collaborazione con i servizi alleati (questo non va confuso con quello fallimentare di addestrare i ribelli, più recente, che invece era gestito dal Pentagono). Il programma si scopre adesso di dimensioni superiori a quello che finora si immaginava. Le armi non sono di proprietà americana, ma gli Stati Uniti ne hanno approvato il passaggio (in mezzo poi ci sono anche missili Fagot russi); i sauditi coprono le spese d’acquisto; l’addestramento all’uso sarebbe stato fatto in Qatar; i traffici favoriti anche dalla permeabilità controversa del confine turco. Questo la ricostruzione più credibile, ma non ufficiale.
In questo momento i gruppi ricevono gli anticarro più velocemente di quanto riescano a spararli, hanno scritto la giornalista Anne Barnard e il collega Karam Shoumali, autori del pezzo del Nyt. Le foto postate sui social network ne sono dimostrazione.
Pochi giorni fa, l’Arabia Saudita in piena contestazione all’intervento russo, ha fatto sapere che intende inviare altri 500 missili Tow ai ribelli (solo un piccola percentuale di un arsenale composto da oltre 15 mila pezzi, comprati dai sauditi proprio nel 2013). Sentito dal New York Times il comandante della Divisione 13, un gruppo del Free Syrian Army (storica ala laica e nazionalista dell’opposizione armata, rinvigorito nell’ultimo mese) ha detto che quei cinquecento missili sono un numero insignificante rispetto a quelli che stanno arrivando già.
A quanto pare, invece di vedere la luce in fondo al tunnel, l’intervento russo ha rafforzato sia Assad che i ribelli, allungando le dinamiche della guerra.

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