Si dice, talvolta, di una persona – vuoi per esaltarne l’integrità morale, vuoi per sottolinearne la fermezza – “quel tipo è tutto d’un pezzo”.
Già a sentirne parlare, di un uomo o di una donna tutti d’un pezzo, viene un po’ l’istinto di mettersi sull’attenti. Nella migliore delle ipotesi di portare un timoroso rispetto, con un buon carico di soggezione, nella peggiore di dubitare un poco, ché un fragilità negata o non manifestata suscita qualche sospetto.
Insomma, quest’essere tutti d’un pezzo, integri, compatti, senza parti dissocianti, contraddizioni, dubbi, debolezze è facile che venga considerata una sorta di virtù sovrastrutturale, costretta e costruita, statica e fredda, da smascherare senza indugio, per indicare, ai bambini ma anche agli adulti, una via diversa di essere sé, e cioè quella che passa attraverso la sana e produttiva coesistenza di istinti, sentimenti, debolezze, vulnerabilità, bisogni, risorse, le quali tutte insieme formano la musica polifonica della personalità.
D’altra parte si cresce attraverso il confronto, sia quello con persone differenti, sia quello che mette in moto il dialogo interiore tra parti di noi che sembrerebbero non voler entrare in comunicazione.
Questa riflessione psicologica così complessa e delicata viene rappresentata e risolta con mirabile incisività nell’albo “Tuttodunpezzo” di Cristina Bellemo e Andrè da Loba, edito da Topipittori.
(Cristina Bellemo già ci aveva regalato un’interessante e suggestiva riflessione sulla leggerezza ne “La leggerezza perduta”, ancora edito da Topipittori e illustrato da Alicia Badalan. Non poteva mancare uno stesso intenso elogio della fragilità)
Preciserei subito che ritengo questo un libro per tutte le età perché in grado di accendere una miccia di rielaborazione emotiva adeguata a diverse fasi della vita.
Per i bambini si tratta di avvertire un’accoglienza e una comprensione nel momento della costruzione dell’identità: durante la crescita è necessario ci sia spazio per tutti i pezzettini di sé, accettarsi è il primo passo per una costruzione felice, aperta, emotivamente accogliente, non gravata del peso del giudizio e della chiusura, dal mito della perfezione, da un’iper esigenza genitoriale e dalla frustrazione delle fragilità.
Più avanti con gli anni è importante continuare ad interrogarsi sulle proprie rigidità, rivederle, rimetterle in discussione e ammorbidirle, sia nei propri confronti che verso quelli altrui. Sarebbe auspicabile accettare anche le rotture di equilibri creduti raggiunti e continuare a percepirsi come esseri mobili e in divenire, vivi anche delle proprie debolezze.
Nelle grandi e originali tavole dell’albo è presentato il signor Tuttodunpezzo.
Pur nella stilizzazione della scelta iconografica, che non indugia su dettagli della figura, ciò che salta all’occhio è l’imponenza del personaggio. Spalle larghe – quadrate di nome e di fatto -, altezza considerevole, muscoli al posto giusto. Ed infatti Tuttodunpezzo è definito, come primo attributo, molto forte.
Poi però si aggiunge che, oltre ad essere ben piantato fisicamente, è anche un tipo che sa sempre cosa va fatto, che non dimentica oggetti o impegni, che non cede ai sentimentalismi, non versa lacrime, non regala volentieri qualcosa che sia suo, né tantomeno condivide ciò che ha. Per sorridere un po’ l’autrice ci racconta che non fa, addirittura, né pipì né cacca.
Insomma, in parole povere, Tuttodunpezzo è molto sicuro di sé, non è vulnerabile, non mostra debolezze e di certo la tenerezza non è tra le sue virtù. Non si espone poi ai rischi emotivi, né tantomeno a quelli relativi al fallimento.
La sua quindi più che una gran bravura è una chiusura.
L’essere tutti di un pezzo fa sì che il confine tra sé e il resto del mondo sia uno, ben netto e definito. Quello che è dentro resta dentro, quello che è fuori resta fuori.
Ma un giorno il signor Tuttudunpezzo, passeggiando da solo in un bosco, cade in una buca profonda.
E accade l’impensabile: si rompe in ben tre parti. Che disdetta, che smacco, là dove prima c’era un unico e sicuro individuo, ora si trovano tre pezzetti che non possiedono certo la forza e la prestanza del tutto.
Ecco però che i tre hanno una grande idea: basterà che uno si arrampichi sulle spalle dell’altro e quest’altro su quelle dell’ultimo per arrivare al bordo del fosso. Così, liberato un pezzo, questo potrà andare a recuperare una corda per tirar fuori gli altri due.
Questo accade: ciò che sembrava una disgrazia, una debolezza si rivela l’unica possibilità di cavarsi d’impaccio, e quindi di salvarsi.
Nella tavola che segue le tre parti – chiamate Primopezzo, Secondopezzo e Terzopezzo – possiedono ciascuna il suo buon paio di gambe per andarsene sgambettando – diremo belnallegramente e perfino spensieratamente– per il bosco, sulla via di casa.
Questo è un particolare da evidenziare: il fatto che tutti e tre, pur essendo testa, tronco e parte inferiore, siano dotati di gambe non è solo buffo, simpatico e divertente (come anche lo è il gesto di vittoria che uno dei tre mima) ma indica una raggiunta autonomia. “Camminare sulle proprie gambe” nel gergo comune vuol dire farcela, aver sviluppato delle capacità utili all’affermazione del sè.
Quindi i tre hanno raggiunto, oltre che uno stato di allegria e maggiore leggerezza e vitalità, anche una condizione di forza e indipendenza. La vulnerabilità sperimentata nella situazione di crisi non ha comportato una regressione ma un avanzamento verso una condizione di aumentato livello di risorse.
D’altra parte, condizione necessaria per imparare a rialzarsi è essere almeno una volta caduti.
Come tanti libri belli e ricchi (i libri belli non sono mai a tema, piuttosto offrono tanti temi a tanti differenti cuori e menti che hanno voglia di scoprirli), “Tuttodunpezzo” è in grado di riecheggiare per corde diverse.
Qualcuno ci potrà ravvedere un’esortazione a essere meno rigidi e più spensierati, qualcun altro un invito ad accettare la fragilità e ad affrontare le crisi come momenti di crescita e rinascita.
Sicuramente c’è una valorizzazione di un modo più aperto di affrontare l’esistenza, eleggendo a virtù la tenerezza, la capacità di mettersi in discussione, il confronto e la condivisione. Esporsi, rischiare diventano quindi possibilità da non limitare per paura, da preferire a statiche protezioni e sicurezze, schermature e rigidità.
Un poco come il piccolo verde di Lionni che piangendo – quindi mostrando il proprio lato emotivo – va in tanti pezzettini, prima, ma ha anche la possibilità, poi, di ricomporsi e di tornare se stesso ma con in più l’esperienza della mescolanza, che lo ha fatto crescere (e anche parecchio divertire).
Secondo una chiave di lettura parallela ma collegata, Tuttodunpezzo è anche un’esaltazione delle caratteristiche dell’infanzia contro i rigori, un poco severi e anchilosati, dell’età adulta. D’altra parte chi diventa, volente o nolente, tutto d’un pezzo, è anche chi ha rinunciato al proprio lato bambino, lo ha giudicato, messo a tacere e rifiutato. Recuperarlo può essere una buona idea, anche perché i bambini sono più bravi dei grandi a cadere e rialzarsi con un sorriso.
Le illustrazioni di Andrè De Loba, artista portoghese ma affermato internazionalmente, sono molto suggestive. Tutt’altro che classiche, più vicine all’astrattismo, propongono una rappresentazione dove il colore, saturo e pieno, svolge un ruolo di primo piano creando delle composizioni nette, decise ma allo stesso tempo ariose.
Caratteristica è l’assenza di sfumature, sostituita da sovrapposizioni di tinte che creano originali mescolanze e trasparenze.
Prospettive e proporzioni, così come la composizione della tavola, il gioco dei colori, non seguono leggi realistiche bensì quelle della particolare rielaborazione dell’autore. Così ogni pagina è da osservare attentamente perché portatrice di un senso suo che, non solo supporta o integra il testo verbale, ma lo reinterpreta, ampliandolo di visioni o chiavi personali e perfino giocandoci su ironicamente con guizzi davvero divertenti.
(età consigliata: dai 5 anni)
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