In principio fu Vermicino, Avetrana venne molto tempo dopo.
Nel giugno del 1981, in diretta televisiva, si consumava la tragedia del piccolo Alfredino Rampi caduto accidentalmente in un pozzo a Vermicino a pochi chilometri da Roma. Quello che doveva essere un semplice servizio tele-giornalistico, si trasformò in una diretta lunga 18 ore. Un’edizione straordinaria del tg1 e del tg2 a reti unificate. Un evento senza precedenti capace di tenere incollati alla tv una media di 21 milioni di telespettatori in attesa di un lieto fine che, purtroppo, non arriverà mai.
Grazie alle telecamere l’Italia intera assiste ad uno spettacolo di angoscia, paura e speranza. Il pozzo di Vermicino si trasforma in un palcoscenico e tra soccorritori e giornalisti giunti sul posto, una folla di curiosi diventa spettatore inerte del più grande dramma psicologico vissuto dalla nazione
Per la prima volta viene superato il limite del “dovere di cronaca”. Era davvero necessario? E’ servito a qualcosa tutto ciò?
A distanza di trent’anni la cronaca nera è protagonista indiscussa dei palinsesti televisivi: da Cogne a Garlasco passando per Erba e Novi Ligure fino ad arrivare ad Avetrana, Brembate e, recentemente, Colle San Marco. Fiumi di collegamenti “in diretta”, dibattiti in studio e ricostruzioni “fedeli” degli omicidi (da far invidia ad una puntata di C.S.I.), si sono sprecati soprattutto in questi ultimi sei mesi.
Ormai famoso quel 6 ottobre del 2010 quando Federica Sciarelli (Chi l’ha visto – Rai 3) annunciava in diretta alla madre della povera Sarah Scazzi il ritrovamento del corpo della figlia
L’italiano medio si sveglia la mattina, accende la tv e dopo l’edizione del Tiggì, dà inizio alla sua giornata con una colazione in compagnia di Federica Panicucci e di Paolo Del Debbio che a “Mattino Cinque” (Canale 5) ci aggiornano sulla morte di Melania Rea: si fa un servizio sul luogo del ritrovamento del cadavere, si ricostruiscono gli ultimi momenti di vita (con tanto di musica strappalacrime in sottofondo), si intervistano i parenti e i vicini di casa che puntualmente dichiarano che era una persona gentile e che salutava sempre e poi con degli opinionisti (del tutto discutibili) in studio si affronta l’argomento non risparmiando nemmeno il più piccolo particolare, anche scabroso.
Il “Format” è il medesimo per tutte le altre trasmissioni a seguire. Come se la colazione andata di traverso non bastasse Milo Infante, Caterina Balivo e Lorena Bianchetti “allietano” il “Pomeriggio sul 2” (Rai 2) e tra un balletto del “waka-waka” ed il commento della puntata dell’Isola dei famosi ci garantiscono un pranzo a base di omicidi e sparizioni misteriose.
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Il famigerato “Collegamento da Avetrana” diventato ormai anche una popolarissima pagina Facebook ci accompagna anche durante la digestione in programmi come “La Vita in Diretta” e “Pomeriggio 5”. Lì, esperti criminologi “mimano” con precisione svizzera i particolari delle uccisioni di Sarah e Yara. Un’autopsia ‘verbale’ al di fuori dal normale, salvo poi passare con nonchalance a parlare del matrimonio di William e Kate o del Grande Fratello.
Subito dopo le notizie del telegiornale che, citando la Littizzetto “o parlano di disgrazie o parlano di cagate…” (fatta eccezione per il TG La7 di Mentana) la cena sembra ci riservi una pausa in questo senso (se non teniamo conto dei programmi settimanali come “Quarto Grado e “Chi l’ha visto”).
Ma niente paura: in seconda serata pronto ad accompagnarci in un viaggio-plastico sul luogo del delitto è Bruno Vespa che a turno ci “Porta a Porta” (Rai 1) a Cogne, i Crepet e Bruzzone (più popolari ormai di se stesso).
Dall’altra parte, giusto per non farci mancare nulla, c’è Alessio Vinci con “Matrix” che, grazie ai suoi ospiti in studio, ci propina dettagli importantissimi sulle vittime (di cui ne faremmo volentieri a meno) : “Yara non ha subito violenza sessuale ma era indisposta…”
Se è vero che negli ultimi mesi c’è stato un accanimento mediatico nei confronti dei casi di cronaca nera è pur vero che in tv vige la legge degli ascolti. Se argomenti come questi hanno grandissimo riscontro di pubblico, qualche domanda occorre porcela un po’ tutti.
Ma questi programmi che “approfondiscono” i casi di cronaca nera cosa danno in più al telespettatore? C’è davvero bisogno di usare linguaggi televisivi come la docu-fiction e scendere nei minimi particolari anche quelli più scabrosi? I giornalisti più volte chiamati in causa si difendono ostentando il dovere di cronaca ma, qual è il confine tra il dovere di cronaca e l’accanimento mediatico? Ai posteri l’ardua sentenza.
Giovanni Mercadante