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Stasera su Italia 1 alle 21,10
Tatara-tà. Tatara-tà. Un neo James Bond? No, un neo sull’epidermide per le grassocce misure delle organizzazioni defluite in quel cumulo di pseudo-agenti speciali dei servizi segreti in ogni parte del mondo C’è James Bond, di solito, con i suoi uomini forti e le sue femme fatale. E l’ironia dov’è? Per questo c’è l’“Agente Smart”. Ci pensa Mel Brooks, nonnetto amorevole, dalla facile parodia. In “Get Smart” c’è Max, che, nel poco perfezionato “cono di silenzio” gioisce quando viene nominato Agente 86, un uomo, una nuvoletta con un fantomatico perché sulla testa. Esperto di lingue, bravo analista, ex-obeso, con l’unica grande passione, in quella Control così importante nella Guerra Fredda che manca poco che sia erosa dai topi, con qualche mosca captatrice di suoni di qualche migliaio di dollari fatta fuori, con nonchalance, ed un sogno diventato realtà: l’azione. Poi c’è una Lei, longilinea in quel tubino nero, Agente 99, che si fa spazio a suon di sganascioni, senza perdere un pizzico della sua femminilità, peraltro discussa. Insieme in una sala da ballo, daranno il meglio di sé, chi con lo slancio di cosce, chi con il busto forte e le spalle tanto larghe da aizzare una che di cibo ne divora, a volontà. Fautori del bene, si troveranno divisi per poi amarsi, da lontano, senza che, come al solito, lei si conceda facilmente a lui, come una sguattera, come la solita bond-girl. E appare un simil Bush presidente, mentre la nona di Beethoven è interrotta prima della sua esplosione e si finisce “a chiappe al vento”. Il film diverte, nonostante non impressioni per sagacia, gli attori gigioneggiano con Steve Carrell minimalista della risata e Anne Hathaway bella e defilata. C’è anche Alan Arkin e un azzeccato “The Rock”. Forse la durata lo penalizza, forse l’inventiva non è al massimo, forse Peter Segal banalizza una serie cult. Forse, ma forse da un soggetto del genere non si può chiedere troppo, soprattutto al cinema, soprattutto per colpire un po’ tutti i target.
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