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(Ispirato ai boss di Chicago, con James Cagney)
su Premium Cinema alle 21,00
Celebre, sebbene eclissato dal tempo, raccordo di mezzo nella definizione primaria del gangster-movie ai suoi albori, neonato destinato a crescere rigoglioso e a raggiungere la piena maturità a quarant’anni. Un anno dopo “Piccolo Cesare”, un anno prima di “Scarface”, Wellmann traduce in immagini la summa delle verità storiche dell’età del proibizionismo. Non esalta le doti del criminale, né le decanta, non le critica né distrugge il suo personaggio nella malvagità assoluta. Molti hanno evidenziato l’intento morale, evidente in alcune didascalie. Si parla di problematica da sottoporre al giudizio del pubblico, in maniera semplicistica, spesso. Ed il film sembra tracciare una strada quasi sociale e pedagogica, di cui un elemento, appunto, è il semplicismo didascalico. Ma, comunque, nell’esternare il problema non si fa l’errore di identificare il boss Tom Powers come problematico, quanto l’intero sistema in cui si sviluppa la società. Molti sono clichè abusati e reiterati, la psicologia è poco marcata (d’altronde lo scontro fraterno è una componente molto facile, diretta), quello che manca al film è un tocco di maturità a livello di sceneggiatura. D’altronde, l’opera è figlia di un certo periodo storico, che non va tralasciato, alla luce del quale, proprio per l’aspetto di edificazione verbale della storia, fu concessa la nomination all’Oscar. L’eccessiva drammaturgia, quasi stereotipata, delle madri, la visione della donna, in genere, sono a livelli rudimentali, che, potrebbero, solo, in parte essere inquadrati nell’epoca da cui proviene. Non dimentichiamo, però, che proprio il tenore medio-basso, a livello di caratterizzazione e dialogico, garantisce parziale comprensione nella fase post-Depressione. Non a caso, pur essendo uscito nel 1931, uno degli anni meno rosei per la cinematografia, passata la sbornia del suono, “Nemico Pubblico” ha avuto un ottimo riscontro, diventando un fenomeno di costume e accrescendo il carattere popolare e di qualità per l’intero background cinematografico. Sottolineati i difetti, più trasposti nel tempo, che evidenti allora, i pregi sono molti. In primis, c’è una scena che raggela, girata senza preavviso, con James Cagney che, violentemente, spreme un pompelmo sul viso di una donna, la sua “mantenuta”. E’ feroce, ma ha l’abilità di far emergere un lato, quello focoso e crudo, che non si può scorgere nel rapporto con gli uomini. Proprio in questo, nella ricezione visiva della violenza, si può dire che essa sia del tutto avulsa dal contesto scenico, ma non per questo meno perspicace e profonda. Si pensi all’assassinio del primo partner di illegalità. Si vede solo l’amico di Tom, Mike e parte del suo senso di pietà, gli occhi si spaventano, e si sente il suono di un pianoforte fino al crollo del corpo sullo stesso, con un’accentuazione delle note. Inoltre, la scena finale, è, intuibile, un contrasto tra attesa positiva e sorpresa negativa, definendo un epilogo scarno ed enfatico, virile e prepotente, alla base delle cosiddette invenzioni di sceneggiatura che fanno la fortuna di certe pellicole moderne. La regia di Wellman non è affatto canonica, si muove in modo moderno, complesso, con i soliti stacchi di montaggio ed una suddivisione schematica. La vicenda, che non poteva essere dilatata ulteriormente, viene concentrata in un numero definito di scene, e molte cose sono ricondotte ad un livello implicito. Come detto la psicologia è spicciola, ma il film rimane un classico, destinato a perdurare.
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