1994
131 minuti
Stasera su Rete 4 alle 20,30
5 motivi per cui non amo "Forrest Gump"
1) E' un film prolisso, completamente avvolto dalla voce narrante che è un collante continuo tra situazioni sequenziali diverse. Alla fine, l'espediente diaristico risulta pesante e le parti del presente narrativo, dalla famosa panchina immessa nel verde, seppur diradate, creano l'inconveniente della ripetizione e dell'immobilità statitica. Piuttosto che una vita narrata con taglio cinematografico, l'aneddottistica va incontro ad un'esigenza diversa, quella dell'autocelebrazione. E il tutto eccede.
2) La pretesa di descrivere un'intera storia fondativa, sin dalla "Nascita di una nazione" con Ku Klux Klan annesso, fino alle varie tappe fondamentali da Kennedy al 68', con precisione sistematica, è assurda. Soprattutto se si cerca di inquadrare il personaggio in ognuno di questi avvenimenti. Il taglio, tipicamente cinematografico, alla base, è una caratteristica della scrittura di Eli Roth, che ha fatto lo stesso o quasi con la grande storia di Benjamin Button. Lo schema è banalizzato, e soprattutto l'elemento irrealistico è condotto all'assurdo.
3) La poesia di "Forrest Gump" è edulcorata, ottimistica, per molti versi da "sogno americano", per altri intrisa di melassa. I cioccolatini sono il punto di riferimento. L'intera costruzione ideologica, con annesse parti poetiche affini al fanciullo, si regge su un assunto lodevole, l'uguaglianza e la mancanza di diversità. Il problema non è il contenuto, enfatico ma lodevole, appunto, ma il modo in cui viene espresso, con un rimando continuo a massime altrui, della madre in particolare, e un tocco troppo naif e fanciullesco.
4) Sono convinto che sia un film non in grado di trasmettere un messaggio di uguaglianza totale, e quasi strumentalizzi, in un modo che non fa bene a nessuno, la tematica . Infatti, dall'alto del sistema in cui viene prodotto, Hollywood, non si fa altro che tipizzare Forrest, facendone emergere un'immagine di uomo che ha come marchio di fabbrica impresso in ogni lato il suo cosiddetto "essere tardo". Per molti versi, l'immagine di Forrest è come se fosse limitata solo a certi capacità, quasi una miccia inconsapevole o derisa dall'interno, con dei sentimenti presenti ma di un unico colore. Più che di normalizzazione e capacità di vedere oltre, mi pare che l'intento si limiti all'accettazione.
5)E' un film ipercostruito, citato e citazionista, laccato e messo su con molta melassa, piuttosto vicino ad un'ottica politica, banalizzante e ovvio. E soprattutto, non vedo spessore nella regia, firmata da Zemeckis, oggi completamente inadeguata ad una storia di tale lunghezza (molto meglio Fincher con Benjamin Button, che, in quanto a stile, non ha eguali, nel confronto). Anche l'interpretazione di Tom Hanks è piuttosto artefatta, anche se può risultare coinvolgente.