Magazine Cinema
Su Canale 5 alle 21,10
7,5 su 10
L’ultimo lavoro del regista David Fincher non è perfetto. C’è il Tempo, un orologio che si muove in senso antiorario e scandisce il passato, le ore insabbiate di un ricordo, le temprate e scoordinate latitudini di dolore. In realtà, il tempo cronologico scandito a ritroso, invece della comune progressione, che porta alla vita e conduce alla tomba, attraverso un’evoluzione fisica non più di deterioramento ma di ringiovanimento, è un'efficace mezzo di espressione di una concezione filosofica, che trascende la realtà razionale e diventa dissertazione letteraria. Proust, che viene citato, è più indicato come scrittore. Il film trae la sua fonte da Fitzgerald, e siamo in un ambito spiccatamente narrativo. L’ottica filosofica è, quindi, sussumibile, ma non dominante. Che succede se un uomo nasce vecchio e pienamente razionale e muore giovane, avvolto dalla inconsapevolezza? La percezione del mondo si falsa, e l'essenza cinematografica va a gonfie vele.
Il racconto parte da una donna morente, viso tediato ma vivido, rughe visibili e profonda austerità in una voce (nella versione originale) che ha la forza scura di un animo vissuto. E’ Cate Blanchett, anche se stenterete a riconoscerla, e buona parte della riuscita del film deriva dalla sua interpretazione, ingiustamente dimenticata. D’intorno, si scatena l’inferno dell’uragano Katrina. Siamo a New Orleans. Benjamin vive momenti topici della storia americana. Da questo, il paragone con Forrest Gump, con il medesimo realizzatore dello script. Le guerre mondiali, in primis. Seppur, da lontano. Sottostoria di sottotrame, inizio folgorante, finale degno, intermezzo molto pesante (il colibrì). Splendide alcune trovate registiche, bravo Pitt ma non così come si vuol far credere, elegante la colonna sonora, sottotono la Swinton.
Va detto che quell’anno Fincher non avrebbe meritato l’Oscar come miglior film in assoluto, essendo candidato “Milk”, ma sarebbe stata una scelta più armonica dell’orrendo “The millionaire”, soprattutto in relazione alla grande maestria nell’assemblare i vari linguaggi del cinema sotto un unico vissuto, un’unica storia, un’unica meraviglia. Pregevole per l’intento, perfetto nella sua imperfezione. Nel cast, una splendida madre, interpretata dalla Henson.
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