Non mi sono mai occupato di televisione, ma per una volta, dopo anni e anni passati a vedere serie tv, ho deciso di cimentarmi anche in questo ambito e sbilanciarmi in qualche opinione sui serial recenti che ho seguito con maggiore interesse. Comincerò con Lost e nelle prossime puntate mi occuperò di Bored to death, House, Mad men, Scrubs e Boris.
LOST
Il grande amore televisivo della mia vita. La serie che prima e più di ogni altra ha portato oltre il livello di – semplicemente – bellezza, spessore ed elaborazione richiesto alle produzioni per il piccolo schermo. La premessa narrativa è apparentemente semplice, quasi elementare: un gruppo di persone che per lo più non si conoscono, in volo dall’Australia agli Stati Uniti, precipita con l’aereo su un’isola del pacifico ignota al resto del mondo. C’è un medico, una fuggitiva, un grassone che ha vinto alla lotteria, un truffatore, una rockstar fallita e varia altra umanità.
Ma l’isola non è ciò che sembra.
Innanzitutto perché non è disabitata (da qualche parte, nascosti nella fitta vegetazione tropicale, “gli altri” tramano piani indecifrabili e crudeli), ma soprattutto perché nasconde una serie infinita di misteri e trabocchetti: un bunker sepolto in profondità, il relitto di un altro aereo e quello di una nave antica, strane presenze che minacciano i sopravvissuti, guarigioni inspiegabili e improvvise… Insomma tanta, tanta carne al fuoco. Ma ridurre Lost alla pur elaboratissima serie di vicende avventurose/misteriose che si creano e si disfano in ogni episodio sarebbe una grave sottovalutazione di un testo che può essere letto in mille modi (e d’altronde se su internet è nata addirittura un’enciclopedia chiamata Lostpedia che ha Lost come esclusivo oggetto un motivo ci sarà).
Ecco dunque, in sintesi, gli elementi notevoli di questa serie prodotta dall’americana Abc.
1) I personaggi e i rapporti che tra essi intercorrono. Lost è un serial emotivamente molto, molto coinvolgente: in 6 stagioni e 121 episodi, andati in onda tra il 2004 e il 2010, lo spettatore attento, quello che non si perde puntate e avvenimenti importanti, impara a conoscere i protagonisti come se fossero persone reali. E badate, io non sono uno di quelli che hanno pianto quando Friends è finito o quando è morta la mamma di Bambi, ma Lost è studiato apposta per far sì che lo spettatore abbia l’impressione di accompagnare in prima persona i protagonisti nelle loro avventure. L’immedesimazione è totale. Questo per due motivi: a) il patetismo di questa serie è pari più o meno a quello di una telenovela, di cui conserva anche i tempi dilatati e l’attenzione riposta alle storie d’amore, meglio se contrastate: non ho mai visto Beautiful, se non saltuariamente quando, da piccolo, mia nonna e mia sorella mi ci costringevano dopo pranzo, una volta alla settimana, ma credo che il triangolo amoroso tra Jack, Kate e Sawyer sull’isola sia pari più o meno, per inconcludenza, latte alle ginocchia e tira e molla, a quello tra Ridge e le sue due mogli. La differenza sta nella qualità della scrittura, della recitazione e della messa in scena, non negli intenti o nei sentimenti; b) dei personaggi, attraverso vari flash back sulla loro vita prima dell’incidente, sappiamo praticamente tutto. Inoltre è facile – anzi, gratificante – mettersi a confronto con i protagonisti di Lost perché sono tutti, senza esclusione alcuna e sotto molteplici punti di vista, dei perdenti, dei falliti totali. Dunque da un lato ci si può rispecchiare, dall’altro ci si può sentire superiori (crudeltà e ingenuità della natura umana). Aggiungo inoltre che, personalmente, trovo la maggior parte dei personaggi estremamente interessante: sono costruiti bene, in modo non scontato, e le avventure che li coinvolgono riescono a essere ora divertenti, ora commoventi, ora avvincenti, in un continuo rimando ai generi cinematografici e televisivi che va dalla commedia all’americana (in particolare per quanto riguarda il personaggio di Hugo “Hurley” Reyes), all’action movie (il passato di Kate Austen e quello di James “Sawyer” Ford), dal medical drama (Jack Shephard) al dramma sentimentale (Sayid Jarrah e le sue sfortunate storie d’amore) ai film di yakuza (Jin-Soo Kwon e sua moglie Sun-Hwa Kwon).
2) I riferimenti culturali. E per cultura non intendo solo filosofia, storia, scienza, Bibbia e cose elevate di questo genere, che pure sono spesso tirate in ballo sebbene talvolta in maniera americana (banale), ma anche musica pop, fumetti, televisione, letteratura popolare, leggende metropolitane, cinema ecc… La sceneggiatura di Lost è interessante perché spinge lo spettatore a domandarsi costantemente “Cosa vorrà dire questo? Dove l’ho già sentito? Quale riferimento nascosto conterrà questo avvenimento?” Una trappola pop in cui è facile cadere quando già i nomi dei protagonisti (Jack “il pastore”, Hume, Rousseau, Bakunin, John Locke in seguito Jeremy Bentham…) nascondono una serie infinita e variegata di rimandi culturali.
3) La virale necessità di sapere come andrà a finire la serie. È talmente fitta e volutamente oscura la sequenza di misteri che circondano la vicenda che è impossibile (sempre data per scontata l’attenzione dello spettatore, che qui – cosa che invece allontana molto Lost da una soap opera – è tenuto a vedere ogni singolo episodio con la massima concentrazione) non chiedersi dove porterà tutto ciò. A questo punto bisogna però fare una distinzione, dal momento che la serie è nettamente divisa in due: le prime tre stagioni e le altre tre. È opinione comune che gli autori di Lost si siano bevuti il cervello più o meno a fine 2006, perdendosi nei meandri della loro stessa fantasia. Quando parlo di grandezza della serie mi riferisco dunque alle prime tre stagioni. Come un giallo di Agatha Christie frullato con un sussidiario illustrato di cultura for dummies e forti dosi di Twin Peaks (di cui Lost è l’unico credibile erede per ambizioni e indecifrabilità), le avventure dei perduti sull’isola creano un effetto-attesa davvero difficile da evitare una volta che ci si precipita dentro – motivo per cui chi invece non ci precipita non potrà mai capire l’assuefazione di un fan di Lost, bollando il tutto come un’immensa e poco credibile stronzata: prendere o lasciare, amare o odiare, Lost non concede vie di mezzo. Il tutto, non dimentichiamolo, condito da una maestria registico-narrativa da far invidia al romanziere più scafato e al cineasta più navigato: credetemi, di film e telefilm ne ho visti tanti, ma raramente mi è capitato di trovarmi a bocca aperta come mi è accaduto di fronte ad alcune delle tante svolte narrative (via via sempre meno credibili e riuscite) che caratterizzano questa serie tv. Roba da far venire i brividi solo a pensarci. Una grande serie, c’è poco da fare, con buona pace dei (tanti) detrattori.
Alberto Gallo