Magazine Cinema

Twin Visions (Pt.4)

Creato il 11 novembre 2014 da Theobsidianmirror

Twin Visions (Pt.4)

Jerome Witkin, The Devil as a Tailor

La prima parte si trova qui.
Ma eccoci di nuovo alle prese con “l'altra faccia della medaglia”: Jerome Witkin. Le sue opere sono un'infinità, e anche se tra di esse non mancano ritratti e autoritratti i suoi temi ricorrenti sono le cronache di eventi ordinari e straordinari, inseriti di preferenza in paesaggi urbani. Nel corso della sua lunghissima carriera ha rappresentato normali scene di vita domestica in quadri familiari sconfortanti, ma soprattutto una lunga parata di vittime – dell'Olocausto, del terrorismo, della droga, dell'AIDS – di calamità naturali e causate dall'uomo, riuscendo a convogliare un messaggio di universalità anche alle tragedie più intime. Che siano opere di piccole dimensioni oppure polittici formati da più pannelli, i suoi sono dipinti drammatici, emotivamente intensi, le emozioni rese tramite un estremo dinamismo.
Per ottenere un effetto narrativo quasi cinematografico, Jerome sviluppa spesso la scena in senso orizzontale su più pannelli, ove le tele utilizzate hanno dimensioni diverse per creare una sorta di piano focale sulle scene prescelte; le pennellate e l'uso del colore fanno il resto. Per questo, per definire la sua pittura si alternano gli aggettivi “narrativa” e “percettiva”. Lui stesso, a rischio di sforare nell’ossimoro, viene definito un pittore figurativo che mescola elementi della pittura classica all’Espressionismo (percepibile soprattutto nei suoi primi lavori) e al Realismo - il Realismo moderno, quello riemerso sul finire degli anni ’60 e nei primi anni ’70 dopo il lungo predominio dell’Astrattismo e della Pop Art, che però nel suo caso non è solo una scelta stilistica, ma anche di significato in quella che sembra, a tutti gli effetti, un’esplorazione dell’umana sofferenza, della sua dimensione intima e spirituale contestualizzata nella storia e nella contemporaneità, inclusi i suoi aspetti più paurosi. Come se per lui l’esperienza visivo-estetica fosse fondamentale anche se non è foriera di bellezza né armonia, ma solo di bruttezza e dolore.
Per comprendere il fondamento del suo approccio all'arte – e alla vita - bisogna volgere ancora lo sguardo al passato. Abbiamo già visto che la madre di Jerome, con cui crebbe assieme ai fratelli dopo il divorzio dei genitori, era cattolica. Il padre ebreo, invece, fu una presenza incostante nella sua vita, anche se da adulto Jerome tentò un riavvicinamento che, di fatto, non si realizzò mai (perché nella vita è raro riuscire a dire la cosa giusta nel momento giusto e pare che le ultime parole pronunciate dal padre al figlio furono “vai all'inferno”). Più tardi Jerome avrebbe disegnato un uomo di spalle, con due valigie in mano, talmente curvo che pare senza testa; e la valigia sarebbe comparsa in molti dei suoi dipinti e disegni, quasi un feticcio a perpetuo ricordo del padre. Per esempio, in uno squallido caseggiato un uomo si allontana con una valigia in mano; una donna e un bambino lo osservano; la donna gli getta dietro delle stoviglie e poi, sconfortata, si appoggia alla porta. È “Division Street”, un'eco dell'infanzia di Jerome messa su tela.

Twin Visions (Pt.4)

Jerome Witkin, Division Street

Max Witkin, nel ricordo di suo figlio Jerome, era un individuo fragile che aveva messo se stesso, volontariamente, alla mercé del mondo e per questo era morto; era, in un certo senso, ben più di un singolo essere umano, ma il simbolo delle vittime di ogni tempo e di ogni luogo, della parte debole dell'umanità. La consapevolezza che suo padre fosse morto solo riempì Jerome di sensi di colpa ed è proprio per riconciliarsi con il suo ricordo e riappropriarsi delle proprie radici che, con il tempo, sentì il bisogno di affrontare la storia dell’ebraismo: il frutto di questa ricerca, fin dal 1978, è un'impressionante serie di dipinti che hanno come tema l'Olocausto. Vediamo qualche esempio.“Terminal” ci mostra un uomo seduto in quello che sembra un carro bestiame, di quelli utilizzati dai nazisti per rastrellare gli ebrei. In quello spazio angusto sono stipate delle valigie e scarpe forse appartenute ad altre persone. A dispetto di quello strumento del fato che incombe, le due mani che si intravedono a destra nell’atto di richiudere la porta scorrevole su di lui, l’uomo ha un contegno dignitoso e sembra sereno. Da che cosa deriva quella serenità, quella calma? È rassegnazione oppure è forza che surge dalla stella di Davide appuntata sul suo petto? Quella stella che riluce come dall’interno, come un astro, unica luce a contrastare le forze maligne intorno a sé? 

Twin Visions (Pt.4)

Jerome Witkin, Entering Darkness

“Entering darkness” è diviso in sei parti incentrate sulla figura di un’infermiera. Nel primo pannello la donna siede, sola, in una stanza semi spoglia, forse un magazzino, mentre un uomo di spalle (un prigioniero ebreo nel tipico “pigiama a righe”) s’intravede mentre attraversa il cortile. Nel secondo la stessa donna, in uno scenario di distruzione e rovina, punta una luce nel caos di fiamme e fumo da cui emerge il volto, verde, di Hitler che protende una mano enorme verso di lei, mentre i contorni stessi del suo viso sembrano fondersi con l’ambiente circostante: l’immagine, resa in modo quasi tridimensionale, è terrificante… Nel terzo si esplica la presenza dell’infermiera: in una camera delle torture sono accatastati teste e arti umani, mentre quel che resta di un uomo giace su un lettino; nei successivi vengono mostrati altri uomini imprigionati e seviziati. “Unseen and unheard” ci mostra la terribile agonia di un uomo sottoposto a tortura: come recita la sinossi, l'opera è stata concepita “in memoria di tutte le vittime della tortura”; mentre in “The Devil as a tailor” il diavolo è un sarto intento a cucire le uniformi dei prigionieri dei campi di concentramento. Come ebbe modo di affermare Jerome Witkin: "[I really believe] the devil is not a symbol. The devil is a real person. The devil was an angel that was pushed out of heaven. He was an archangel and as the Arabs believe, the devil is angry because he can no longer see God". A rendere più sfumata la dicotomia bene/male c'è “The German girl”, dove una ragazza tedesca impaurita e vulnerabile è rannicchiata in un angolo mentre una folla di prigionieri affamati irrompe nella stanza per afferrare le poche patate che ha offerto loro dalla finestra. E la lista potrebbe continuare.CONTINUA

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Magazines