Two Men in Town, recensione: Whitaker, galeotto redento per Bouchareb

Creato il 14 febbraio 2014 da Oggialcinemanet @oggialcinema

14 febbraio 2014 • Festival di Berlino 2014, Speciale Berlinale, Speciale Festival OAC, Vetrina Cinema

Two Men in Town, recensione: Whitaker, galeotto redento per Bouchareb

L’America borderline, quella di confine, contraddittoria e profondamente ingrata. E’ il ritratto nichilista che il regista di “London River”, Rachid Bouchareb, restituisce in “Two Men in a Town” partendo dal remake di “Due contro la città”, un thriller che nel 1973 portò per l’ultima volta insieme sullo schermo Jean Gabin e Alain Delon. Dell’originale rimane poco o nulla: se allora José Giovanni esplorava le contraddizioni del sistema giudiziario francese, oggi Bouchareb – in corsa per l’Orso d’Oro alla 64esima edizione del Festival di Berlino – traspone la storia nel nuovo continente e indaga gli aspetti sociali e politici dell’America odierna, post 11 settembre, quella stessa in cui il mito dell’American Dream non ha più motivo di esistere.

Una piccola cittadina di provincia nel New Messico, stretta tra il deserto e la frontiera dove un numero sempre crescente di messicani finisce per trovare la morte: proprio qui si consuma l’epico tentativo di redenzione di William Garnett, ex galeotto, che dopo 18 anni di reclusione cerca di ricostruirsi una vita normale. E ci proverà in tutti i modi: un percorso di ‘purificazione’ che lo porta da una provvidenziale e quasi catartica conversione all’Islam al modesto lavoro in un ranch fino all’amore ritrovato con una donna. A sostenerlo nella dimessa riconquista di una quotidianità il suo agente di custodia Emily Smith. Ma il passato ritorna prepotente e ha il volto dello sceriffo Bill Agati convinto ora più che mai di fargli pagare la morte di un collega avvenuta vent’anni prima.

Two Men In Town

Il duello che si consumerà davanti agli occhi dello spettatore è quello messo in atto da due mestieranti di razza: Forest Whitaker (William Garnett) e Harvey Keitel (Billa Agati) si fanno guerra a colpi di sguardi, occhiate, gesti e parole. Sono loro le due anime dell’America contemporanea ritratta da Bouchareb, complessa e piena di chiaro scuri, un angolo di Purgatorio, terra di confine e madre di figliol prodighi non sempre riconoscente. Nel bel mezzo della battaglia una Brenda Blethyn che qui perde aplomb e accento british per fare spazio ad una dura donna dell’Illinois, l’agente Smith, una che non si guarda mai allo specchio e sorseggia birra sulla veranda di casa ascoltando vecchi dischi e perdendosi con lo sguardo in un imprecisato punto dell’orizzonte. Al di qua nessuna salvezza.

Un film che fa delle interpretazioni il suo maggiore punto di forza, il resto purtroppo paga il prezzo di una regia che ha osato ben poco rimanendo ancorata a dei modelli e ad un immaginario – quello del cinema di frontiera – visti altrove e abusati. Superficiale anche l’esplorazione delle dinamiche tra i personaggi spesso liquidate con soluzioni affrettate, gratuite o prevedibili a livello narrativo. Su tutto permane il senso di impotenza davanti ad una sorte che vince qualsiasi proposito di redenzione.

Di Elisabetta Bartucca per Oggialcinema.net

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