Diceva di aver paura dei suoi parenti, ma il suo gruppo di amici inizialmente non l’aveva presa sul serio. Temeva che prima o poi suo padre e sua madre, Iftikhar e Farzana, l’avrebbero uccisa e così è stato.
Shafilea Ahmed è stata soffocata davanti alle sue sorelle nel settembre del 2003 a Warrington, città tra Liverpool e Manchester in Inghilterra. La sua colpa: non voleva sposare l’uomo scelto dai suoi genitori e aveva amicizie maschili. I suoi assassini, coloro che l’avevano generata, sono stati condannati venerdì a 25 anni di carcere. Il corpo della ragazza era stato ritrovato qualche mese dopo l’omicidio sulla riva del fiume Kent, ma la polizia solo nel 2010 è riuscita ad accusare gli Ahmed.
Melissa, la sua migliore amica, in un’intervista al The Mail on Sunday ha raccontato il tentativo di salvare Shafilea. Le due studentesse si erano conosciute al college.
Shafilea era “una persona solare, positiva, curata e intelligente” ma ripeteva sempre che i suoi genitori volevano farla tornare in Pakistan per darla in sposa a un parente.
Era una ragazza “all’inglese” con frequentazioni sia maschili che femminili, ma i parenti non concepivano l’amicizia tra uomini e donne e per loro la conoscenza con dei ragazzi poteva essere esclusivamente di tipo sessuale. Quando Farzana, la madre, trovò sul cellulare della figlia i numeri di amici uomini si arrabbiò a tal punto che la fece picchiare violentemente dal padre. La ragazza, spiega Melissa, mancò da scuola per molti giorni fino a che i graffi e i lividi sul suo corpo non erano spariti.
I genitori la picchiavano in continuazione senza che Shafilea ne sapesse il motivo, la controllavano ed erano persino riusciti a scoprire il pin della sua carta e a prelevare tutti i soldi che la figlia aveva messo da parte durante un lavoro part-time in un call center.
Sia i compagni che i professori della ragazza tentarono di aiutarla e quando, all’età di 16 anni, i genitori decisero che era giunto il momento per Shafilea di tornare in Pakistan, Melissa e un altro ragazzo organizzarono la fuga dell’amica.
L’adolescente vagò per un po’ tra l’abitazione di conoscenti e bed and breakfast fino a che Iftikhar, dopo alcuni giorni, lungo la strada per andare al college rintracciò la figlia e la costrinse a tornare a casa sotto gli occhi di Melissa. “Quando vidi il padre dentro la macchina le gridai di scappare, ma lei era come paralizzata – ha raccontato la migliore amica – la fece entrare nell’auto e dal finestrino mi guardava piangendo”.
Melissa chiamò subito la polizia ma i genitori convinsero tutti, forze dell’ordine e insegnanti, dicendo di aver cambiato idea, di aver deciso di lasciare che la figlia scegliesse cosa fare e di non volerla più riportare in Pakistan e così Shafilea fece ritorno a casa.
In realtà, di nascosto, Iftikhar e Farzana organizzarono un nuovo viaggio nel paese di origine ma quando la figlia lo scoprì tentò il suicidio bevendo della candeggina. Il matrimonio saltò. I genitori fecero curare la ragazza e poi presero la decisione: bisognava punire la vergogna.
Così la soffocarono con un sacchetto di plastica, dentro casa, davanti alle altre tre figlie.
Melissa non riesce ancora a comprendere come dei genitori possano arrivare a prendere una simile decisione ma ha voluto raccontare questa storia perché spera che se ne tragga qualcosa di buono. La vicenda potrebbe essere d’insegnamento e di stimolo a reagire per chi subisce violenze e abusi familiari e fare in modo che la legge rafforzi le tutele per casi di questo tipo.
Stefania Bernardini