di Michele Marsonet. In un articolo pubblicato di recente in un blog d’ispirazione liberale si percepisce una forte indignazione per il fatto che – pare – un nuovo club milanese di Forza Italia sarà intitolato a Vladimir Putin. La tesi è che non possono esistere liberali pro-Putin. In attesa di conferme ufficiali inizio col dire che non condivido lo sdegno, e sbirciando i successivi commenti dei lettori all’articolo credo di non essere il solo. A mio avviso si tratta di semplice folklore che, proprio in quanto tale, merita più ironia che commenti seri.
Faccio tuttavia una piccola premessa. Se ci s’indigna per cose simili, occorre pure fornire finalmente una definizione precisa e condivisibile di “liberalismo”. Facile trovarla nei manuali di storia delle dottrine politiche, ma si dà il caso che l’aggettivo “liberale” sia oggi assai abusato. Lo spettro di partiti e movimenti che utilizzano l’aggettivo suddetto per autodefinirsi è vastissimo, tanto che il riferimento è diventato sempre più nebuloso (meglio ancora “opaco”, come dicono i filosofi).
Ovviamente il presidente russo non è un liberale, e penso che su questo tutti concordino (incluso l’interessato). Putin è un autocrate? Certo che sì, non vi sono dubbi. Però attenzione. A lui, almeno, si può applicare un’etichetta dai contorni chiari. Si provi ora a ripetere l’operazione con Barack Obama. Che cos’è l’attuale presidente americano, un liberale? A me non pare. Un radicale? Forse, anche se il termine è molto ambiguo. Oppure e più semplicemente un incompetente che ha combinato pasticci a non finire in politica estera e, purtroppo, continua su tale strada?
L’ultimo esempio è fornito proprio dal caso ucraino. Henry Kissinger, dall’alto della sua esperienza, ha notato che Stati Uniti e Occidente, valutando la situazione reale di quel Paese, dovrebbero svolgere un ruolo di mediazione. “Una politica americana saggia verso l’Ucraina – questa l’opinione dell’ex Segretario di Stato – cercherebbe a tutti i costi un modo per far cooperare tra loro le due parti in conflitto, senza spingere perché una prevalga sull’altra”. E’ accaduto proprio il contrario: gli USA e un’evanescente UE sempre più germanocentrica sono entrati nella partita favorendo una delle due parti.
Si rammenti inoltre che critiche pesanti alla politica occidentale in Ucraina sono state espresse anche da Tony Blair. L’ex leader laburista britannico, non certo sospetto di anti-americanismo, ha detto che bisogna smetterla con la fissazione russa e “concentrarsi piuttosto sugli sforzi per combattere l’ascesa del radicalismo islamico”. Una lotta, per inciso, che accomuna (o dovrebbe accomunare) occidentali e russi.
E invece abbiamo visto addirittura la visita “ufficiale” del capo della CIA a Kiev. Sulla vicenda il commentatore di politica internazionale Gwynne Dier, in un pezzo intitolato “Stupidità in azione”, ha scritto che i governi “ufficialmente visitati” dal direttore della CIA sono di solito governi fantoccio. E l’impressione fornita dall’attuale esecutivo ucraino è – spiace dirlo – proprio questa.
Non è mia intenzione semplificare oltre misura il quadro complesso dell’Europa orientale post-sovietica. Desidero solo far notare che la situazione venutasi a creare non è imputabile a una sola delle parti in causa. Una certa simpatia per Putin è percepibile non soltanto all’interno di FI, ma anche in altre forze politiche. Forse perché è diffusa la sensazione che un’umiliazione della Russia favorirebbe i soliti tedeschi onnivori, lasciando ancora una volta gabbati noi, poveri italiani.
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