11 MARZO – Come di consueto, nelle situazioni critiche internazionali riuscire ad ottenere informazioni chiare, precise e veritiere sulle vicende in corso è sempre un’impresa. Anche a conti fatti poi, come insegna la storia, lo sguardo con cui si osserva dall’alto e da lontano ciò che è stato, rispecchia inevitabilmente un certo punto di vista, che questo piaccia o meno. La situazione ucraina, per quanto più vicina geograficamente e culturalmente rispetto alle precedenti primavere arabe, si dispiega in maniera assai più complessa. Molte sono le cose in ballo, e gli attori sono più di quanti si possa immaginare. Andiamo però con ordine.
A partire dal 2009 tra Unione Europea e sei Paesi dell’ex area sovietica (Armenia, Azerbaijan, Bielorussia, Georgia, Moldova e Ucraina) si è instaurata una partnership di tipo principalmente economico (creazione di una Free Trade Area) e giuridico-burocratico (facilitazione dell’iter dei visti), fortemente voluta dalla Lituania, allora posta alla Presidenza del Consiglio Europeo. Sono noti il forte senso patriottico e di indipendenza dei Lituani e l’accordo rispecchia certamente una volontà di risvegliare, anche in questi altri sei Stati ex-URSS, gli stessi sentimenti verso la possessiva madre Russia, la quale non ha tardato a risentirsene. A suono di boicottaggi sull’export/import e di ritocchi sui prezzi, Putin non ha cessato di vessare i suoi ex-protetti, ricordando loro che la prima partnership necessaria è quella russa. Leggerezza, quella europea, nel trattare con coloro che Putin ancora ritiene propri “paesi cuscinetto”, che non poteva non causare nel giro di pochi anni una qualche degenerazione.
L’Ucraina é il Paese, tra i sei dell’accordo europeo, che più si mostra filo-europeista (in particolare per quanto riguarda i territori occidentali e la popolazione giovanile, che nello Stato ha una percentuale molto alta rispetto agli altri Stati Europei), costretta sotto la pressione russa a rinunciare alla firma del rinnovo della partnership, non ha retto oltre. La popolazione in occasione del summit di Vilnius, lo scorso mese di novembre, aveva manifestato per avvicinarsi all’Europa mentre ora scende in piazza Maidan per ribadire una propria indipendenza, che in realtà alla luce del ventennio di libertà trascorso appare essere sempre stata fittizia, o per lo meno molto precaria e limitata.
Purtroppo la composizione demografica ucraina non aiuta. I territori occidentali sono a maggioranza abitati da popolazione ucraina che parla correntemente ucraino. Al contrario, tutta l’area orientale, che comprende la capitale Kiev, Sebastopoli (importante città della penisola di Crimea), e Poltava, ha come prima lingua il russo. Lo stesso Yanukovich, nato presso Donec’k, provincia dell’Ucraina orientale, si esprime in russo. La scelta di usare una lingua piuttosto che un’altra non deve far credere che ciò determini una linea politica filorussa o indipendentista. In ogni caso non stupisce che ora si faccia strada tra i media ucraini l’idea della creazione di “due Ucraine”: l’una ad est, comprendente in particolare la penisola di Crimea, che si porrebbe sotto l’ala russa con il nome di “malaja Rossija” (piccola Russia), e l’altra ad ovest, filo-europeista. L’aria di indipendenza con cui la rivolta, ormai nota come Euromaidan, è cominciata, è svanita ora sotto il peso delle centinaia di morti e dell’esercito russo (2000 soldati) che in queste ore atterra in Crimea, nell’aeroporto militare di Gvardiiski.
Non deve nemmeno stupire che si riutilizzino ora termini abbandonati dopo la caduta del muro del 1989. Sembra proprio che la guerra fredda, congelatasi – o probabilmente semplicemente continuata sottobanco – nello scorso ventennio, ritorni a riscaldarsi. Sebbene non se ne sia parlato molto, durante il 2013 in Russia sono state trovate ed arrestate diverse spie americane, e viceversa gli Stati Uniti hanno operato nella stessa maniera su cellule infiltrate russe in territorio americano. Intanto, sebbene in Italia non sia circolato, è noto (visionabile su diversi siti, compreso youtube) il video-scandalo del vicesegretario USA Victoria Nuland che, intercettata al telefono con l’ambasciatore americano a Kiev, ha spiegato le modalità con cui gli Stati Uniti pretendono senza mezze misure che si configuri il nuovo governo ucraino, escludendo una lista di nomi, tra cui il famoso ex-pugile Klichko, proponendo l’uomo a loro parere adatto, Yazenjuk, poiché “ha esperienza in campo economico e di dirigenza”, e concludendo con un ben poco politically correct “f**k the EU”.
Di nuovo le sorti dei disordini internazionali finiscono per essere giocate, come su una plancia del gioco di Risiko, dalle superpotenze, che continuano ad essere le solite di sempre, gli Stati Uniti da una parte e la Federazione Russa dall’altra. Purtroppo, come di consueto, il campo di gioco non è il loro: in Ucraina i manifestanti continueranno a scendere nelle piazze, spesso inconsapevoli che il destino del loro Paese si decide in altre sedi, ben più tranquille e sicure di piazza Maidan.
Eleonora Gargantini
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