La guerra in Ucraina sta entrando nell’ultima fase, quella che porterà i separatisti a sbarazzarsi dell’esercito ucraino, da qui ad ottobre, e quindi a respingerlo fuori dai confini del nuovo Stato. Le frontiere della Novorosjia, così si chiamerà l’entità indipendente che si staccherà da Kiev, non coincideranno con quelle delle due province di Donetsk e Lugansk che per prima si sono ribellate, ma si estenderanno verso sud-ovest. L’obiettivo è lo sbocco al mare che spegnerà le velleità americane di mettere una propria base ad Odessa. Dunque, l’Ucraina sarà praticamente divisa in due. Tuttavia, ci potrebbero essere altre sorprese dettate dallo sfaldamento dell’esercito governativo e da ulteriori proteste nella Capitale che aprirebbero faide nell’oligarchia al potere. In quel caso il quadro muterebbe rapidamente ed ogni fetta della nazione diventerebbe contendibile. Ci sono personalità influenti nella Capitale che non vedono l’ora di ritornare nella braccia di mamma Russia. In questi giorni sono arrivati rinforzi per i miliziani da tutta l’Eurasia. Ci sono volontari, ma non solo. Mosca, senza la necessità di ricorrere al suo esercito regolare, come istericamente urlano le potenze occidentali, le quali denunciano l’invasione straniera un giorno sì e l’altro pure, è in grado di mobilitare migliaia di uomini all’uopo addestrati di varia provenienza (Europa inclusa). Questi non rientrano nei ranghi ufficiali delle forze armate ma sono professionisti della guerra che si sono fatti le ossa nei numerosi conflitti scoppiati sul territorio egemonizzato dall’Urss, poi collassato negli anni ‘90. Parliamo di veterani, graduati e non, distintisi in Afghanistan, Iugoslavia, Cecenia e Georgia. Ognuno di loro vale almeno 3-4 soldati ucraini e la sproporzione di mezzi, equipaggiamenti ed effettivi è stata colmata un po’ alla volta per non dare la stura ai sospetti ed ai vaneggiamenti statunitensi. La situazione sul campo è dunque mutata, come le strategie di guerra. Dopo questi mesi di resistenza si passa all’attacco. Del resto, Strelkov aveva ricevuto l’ordine di reggere il più possibile le incursioni nemiche fino all’arrivo di questi rincalzi. Il suo compito non è mai stato quello di attaccare ma di proteggere i territori strategici o spingere le ostilità su zone secondarie dove debilitare e demoralizzare i rivali. Le cose sono andate secondo i piani e potevano filare ancor più lisce senza l’intoppo dell’abbattimento del Boeing malese da parte di un Su-25 in dotazione all’aviazione ucraina. Su questo episodio non è stato ancora detto tutto. I mandanti sono ben coperti e non stanno a Kiev. La fretta americana di accusare il Cremlino nasconde una realtà ben diversa che forse non verrà mai a galla. Ma gli alti vertici politici e d’intelligence dei paesi coinvolti nell’escalation ucraina conoscono la verità e le singole responsabilità. Persino dopo i riscontri degli esperti internazionali, i quali non hanno potuto far altro che smentire la versione di Obama, dell’Alleanza Atlantica e del loro servizio privato di disinformazione, cioè del circuito complessivo dei media internazionali, si continua a puntare il dito contro Putin. Eppure tra un po’ cercheranno di far finire tutto nel dimenticatoio perché diventa sempre difficile difendere una posizione talmente debole e ridicola da essere avvalorata soltanto con i dati raccolti nei social media. Al cospetto di ulteriori prove, piste investigative ed indagini indipendenti che dicono il contrario di quanto affermato dal Dipartimento di Stato, Washington farà scendere un velo di silenzio sulla tragedia per non essere trascinata nel fango, dove già sguazza da un bel pezzo il suo inadatto Presidente.
Chiunque abbia pensato, anche per un piccolo istante, che il Cremlino potesse rinunciare alla sua influenza sull’Ucraina non ha ben compreso l’evoluzione dei tempi. Il progetto di Mosca è chiaro. Fortificare la sua sfera egemonica per emergere come polo dominante in quel contesto regionale. Dopo l’archiviazione del dossier ucraino i russi proveranno un’altra mossa decisiva. Far rientrare le aree ancora contese con vicini infidi e recalcitranti in un mutuo soccorso militare ed economico. Novorossjia, Transnistria, Ossezia, Abkhazia, Gagauzia ed anche Armenia diventeranno parte integrante di una coalizione di stati che si garantiranno reciprocamente sicurezza, integrità territoriale e prosperità sociale. Ovviamente con l’apporto russo. Sarà un altro passo sulla strada della stabilità dopo l’accordo doganale con Bielorussia e Kazakistan. Fine delle provocazioni nell’estero prossimo russo.
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