Posted 7 aprile 2014 in Russie, Ucraina with 5 Comments
di Valerio Pierantozzi
Situazione sempre più incandescente in Ucraina, in particolare nella zona est del Paese.
Ieri, domenica 6 aprile, ci sono stati nuovi scontri a Donetsk. Una manifestazione di circa duemila persone che protestavano contro il governo centrale ucraino si è trasformata dopo un po’ in un assalto di un drappello di uomini all’edificio dell’amministrazione regionale. Entrati all’interno, i manifestanti hanno issato bandiere russe sui balconi e chiesto ai consiglieri di indire un referendum sull’autonomia da Kiev entro il 18 aprile.
Cortei di protesta si sono però verificati anche in altre città dell’Ucraina orientale. A Luhansk, per esempio, alcuni manifestanti filo-russi hanno preso il controllo degli uffici dei Servizi di Sicurezza ucraini e, secondo quanto riferisce la polizia locale, si sarebbero perfino impossessati di alcune armi una volta entrati nell’arsenale.
Proteste sono state segnalate anche a Dnipropetrovsk e a Kharkiv, dove – come a Donetsk – i manifestanti hanno fatto irruzione negli uffici regionali issando bandiere russe al posto delle ucraine. Questa mattina, comunque, il ministro dell’Interno ucraino Arsen Avakov ha affermato che l’edificio amministrativo è stata sgomberato dai “separatisti” che lo occupavano. Avakov ha inoltre detto che “Putin e Yanukovich hanno ordinato e pagato l’ultima ondata di disordine separatista nell’est”.
Intanto, il presidente ucraino Oleksandr Turcinov ha annullato una visita ufficiale in Lituania e convocato una riunione di emergenza e il premier Yatsenyuk ha dichiarato che il Cremlino “sta smembrando l’Ucraina“.
Tra le motivazioni delle proteste ancora la questione dell‘esclusione del russo come lingua ufficiale del paese, ma le regioni orientale sono le più industrializzate del paese, ricche di materie prime su cui il Cremlino vuole lettere mano. Come già avemmo modo di scrivere, l’ipotesi di una spartizione del paese non è ancora esclusa e i manifestanti di Donetsk, Luhansk e Kharkiv sono lì a testimoniarlo: vogliono entrare a far parte della Russia, in un modo o nell’altro. E le truppe russe ammassate sul confine, malgrado il Cremlino abbia dichiarato di averle ritirate, lasciano la questione ucraina ancora aperta. Mentre i negoziati faticano a trovare una soluzione condivisa del problema, e malgrado da Washington abbiano fatto intendere che la Crimea ormai è cosa russa, il Cremlino mette le mani avanti preparando il terreno per future iniziative politiche (nelle scorse settimane Putin ha chiesto per l’Ucraina una nuova costituzione federale) o militari.
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